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Scritto da nel Numero 138 - 1 Marzo 2017, Politica | 0 commenti

Scissionisti del secolo dopo

Scissionisti del secolo dopo

Nel 1921 soffiava impetuoso il vento contro l’establishment: i suffragi popolari avevano appena spalancato le porte ai grandi partiti popolari e al movimento dei lavoratori, mentre gli echi della rivoluzione d’ottobre soffiavano sulle masse su cui recenti e dolorose erano le ferite della Grande Guerra. Il Partito socialista non ancora trentenne veniva conquistato dai massimalisti, che avrebbero espulso i riformisti come Turati e Matteotti, ma ciononostante il desiderio dei comunisti di piegarsi ai diktat di Mosca portava alla scissione di Livorno, perché riformismo e fascismo pari erano rispetto alla grandezza della rivoluzione bolscevica. E mentre uscivano rimbombavano le parole di Turati “…voi sarete forzati, a vostro dispetto – ma lo farete con convinzione, perché siete onesti – a ripercorrere completamente la nostra via, la via dei social-traditori di una volta; e dovrete farlo perché è la via del socialismo, che è il solo immortale, il solo nucleo vitale che rimane dopo queste nostre diatribe…”

Nonostante sia evidente che la Storia gli abbia dato ragione, non solo per la vicenda successiva del fascismo ma anche per quella del comunismo stesso, Turati sbagliava nel ritenere che tra i comunisti avrebbe prevalso l’onesta intellettuale. Vivere e crescere nel dogma non sviluppa onestà intellettuale, ma solo una doppiezza e vigliaccheria che nei passaggi generazionali diventa, anche se non per tutti, parte integrante del DNA.

Un’ipocrisia che da decenni si nutre della parola sinistra, che giorno dopo giorno suona per l’appunto sempre più sinistra, svuotata di senso e scivolosa. Una parola sinistra che in chi la propone, con doppiezza e vigliaccheria, significa eredità del PCI. Non è difficile capire come mai siano 25 anni che quella classe dirigente sia in grado di proporre domande e cacare dubbi, arrovellandosi in una spirale senza fine il cui unico punto certo è di non chiamare le cose col proprio nome: cari compagni, siete socialisti o no? Riconoscete l’errore del 1921 e rientrate nella sala di quel Congresso oppure fate finta di niente? Preferite nascondervi dietro la figura di Enrico Berlinguer, con le sue sconfitte sulla scala mobile e sull’eurocomunismo, per non rendere a Bettino Craxi le ragioni della modernità, della televisione a colori e dei limiti del monetarismo? Preferite uscire dal renzismo per buttarvi nel movimentismo, così come dopo la caduta del Muro preferiste dirvi democratici e di sinistra per non ammettere i torti storici?

Il tempo non cancella, la Storia non dimentica. Per non passare da quella strettoia su cui cadde il Muro, a fine degli anni Novanta si è mancato il confronto coi sindacati (come invece Bettino fece sulla scala mobile) che ci è costata l’introduzione dei contratti atipici: quale credibilità si può avere oggi nel contestare i voucher al Governo che ne ha ridotto l’applicabilità? A Craxi, in chiave antiberlusconiana, viene contestato il decreto con il quale consentì ai privati di trasmettere sul territorio nazionale, quale attualità ha questa posizione oggi che il tema è la fusione tra Vivendi e Mediaset? Ai socialisti e ai democratici fu contestata l’invasione in Iraq, per poi bombardare il Kosovo. A Craxi fu imputato di essere un ladro, e dopo 20 anni di berlusconismo il risultato è che i pentastellati e l’opinione pubblica lo dicono del PD.

Lo stesso D’Alema della rivoluzione liberale, la stessa classe dirigente che ha fatto dell’austerità un obiettivo storico (d’altra parte il brevetto del termine è berlingueriano) e del monetarismo uno stile di vita (leggi Andreatta e Ciampi) aveva bisogno del voto per Donald Trump per capire che non era la socialdemocrazia nazionale ad avere fallito?

Davvero bisogna astrologare un fantomatico cambio di fase (Bersani 2017) e sostenere che mentre il mondo è sempre più connesso su Facebook e Whatsapp la globalizzazione sarebbe in ritirata? E’ tipico della mente umana confondere la propria soggettività col reale: parlare di cambio di fase identifica più che altro lo sfasamento di chi ne parla.

Globalizzazione e bisogno di protezione, differenti velocità tra connessi e disconessi sono parte del sistema globale da secoli: vogliamo continuare a credere che fosse giusto venticinque anni fa aderire senza discutere alle privatizzazioni, abbattere il sistema democratico dei partiti e salire sul Britannia? Vogliamo credere che dagli anni Novanta ad oggi il mondo sia cambiato così tanto da giustificare un ‘compagni indietro tutta’, da ritenere il progresso globale nemico dell’uomo e dei lavoratori invece che una gigantesca opportunità di emancipazione e libertà?

La realtà è che da chi continua a pensare di avere avuto ragione nonostante le macerie del Muro è normale aspettarsi nient’altro che ulteriore ipocrisia che si aggiunge all’ipocrisia, necessaria forse a sedare la propria coscienza ma non a fare i conti con la storia e la politica, e il cui paradosso è che lungo questa scivolosa strada imboccata dalla sinistra del nostro Paese ad aver avuto torto sarà sempre la solita, eterna, immarcescibile buona fede di Turati.

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