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Scritto da nel Numero 163 – Estate 2020, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

I saldi del Covid e il diritto di recesso

I saldi del Covid e il diritto di recesso

 

Era una calda fine di un caldo Giugno di un caldo anno, rimasto agli annali come quello del Covid-39.

Erano ormai lontani i tempi del Covid-19, la pandemia dei tempi moderni prima nella classifica per la sintomatologia che il suo carico virale aveva avuto in termini di destabilizzazione dell’economia e della società in tutto il mondo. Un microscopico virus aveva costretto a correre ai ripari i Governi che non avevano imparato nulla dalla disfida tra Mago Merlino e Maga Magò. I Paesi più colpiti erano stati proprio quelli più ricchi e potenti i cui governanti avevano con maggior boria e tracotanza parlato di quel virus come di una malattia da “musi gialli”, da “poveri che non si lavano e che si nutrono di pipistrelli”, e che mai sarebbe toccato alle “nostre famiglie”, bianche e lavoratrici, per le quali sarebbe stato sufficiente lavarsi le mani, guardare le ultime serie su Netflix, mettere la mascherina e restare rigorosamente distanziati dal prossimo.

Fu invece la volta che si imparò che il virus non era affatto in grado di distinguere i timbri sui documenti ed un nuovo inglesismo, il lockdown, fece il suo ingresso nei vocabolari.

Chi quel 2020 l’aveva vissuto in prima persona aveva dei ricordi ormai confusi: i mesi di quarantena ed il silenzio per le strade, le autocertificazioni e l’attesa della spesa a domicilio, le videochiamate su Teams e Zoom, l’invio di poste certificate in Prefettura e di codici Ateco all’Agenzia Entrate non sembravano più davvero reali. Tutto era rimasto avvolto in un ricordo piuttosto onirico. Anno dopo anno il Covid tanto più si disperdeva nell’ambiente riducendo la morbilità quanto più si ritrovava nei racconti per i bambini.

L’Uomo nero era stato soppiantato dalle frasi dove prima era padrone assoluto: “Pulisci la stanza altrimenti te la prende il Covid!” o “Finisci i compiti prima che ti acchiappi il Covid!”. Il leitmotiv del Covid si intrecciava con il solito rammarico per la gioventù fuggita, gli anni migliori dietro le spalle, i rave-party dove si poteva bere nello stesso bicchiere, le curve degli stadi dove ci si poteva baciare in bocca dopo un gol, gli uffici dove si poteva stare a dozzine dentro il medesimo open-space. Mitologie che si confondevano e che nessuno credeva davvero potessero essere state reali, non più di quanto oggi sia possibile realizzare che la vita umana sulla terra abbia prosperata per migliaia di anni senza telefono né televisione, per non parlare della lavatrice. Il Covid era ormai un elemento normale per tutti e nessuno ci faceva più particolare caso.

I caduti della prima ondata erano ricordati ad ogni anniversario, i sopravvissuti alla terapia intensiva erano ormai ospiti fissi di reality e talk show e a seguire c’erano tutti gli altri, i positivi con sintomi, gli asintomatici, chi aveva sviluppato gli anticorpi ma non era mai stato riscontrato positivo. E la maggioranza delle persone, sempre rimasta negativo.

Mentre la politica si interrogava su come convalidare i codici casuali della versione 191.9 dell’app di tracciamento, che aveva appena raggiunto il primo milione di utenti attivi ma andava in conflitto con la principale applicazione di messaggistica, la comunità scientifica aveva la situazione sotto controllo e consentiva alla vita quotidiana di proseguire nelle proprie attività consuete.

Piero ricordava il 1 Aprile 2020, quando era un neo-laureato e proprio quel giorno comminciava la sua prima esperienza di lavoro come programmatore informatico. Altro che Pesce d’Aprile. In pieno lockdown non solo aveva avviato la carriera ma aveva inoltre avuto l’inattesa fortuna di non doversi sobbarcare il pendolarismo cui ormai era rassegnato. In quei tanti anni passati non si era mai dovuto presentare in sede e aveva potuto risparmiarsi i 120 chilometri (60 all’andata e 60 al ritorno) che quell’opportunità di lavoro avrebbe previsto senza l’avvento del Covid. Era stato interamente “remotizzato”, termine che di lì a poco sarebbe diventato desueto: fu infatti immediato per tutti capire che non aveva senso che andasse in sede chi poteva lavorare da casa. A meno certamente di eventi davvero importanti, come il compleanno della collega che preparava quella deliziosa panna cotta con il caramello a parte.

Insomma, era stato uno dei fortunati sulla ruota del Covid.

Durante la fase acuta, mentre la maggioranza delle persone era purtroppo costretta a non lavorare, per lui era stato un tourbillon di novità ed esperienza. L’azienda che l’aveva assunto aveva ricevuto l’incarico dall’Agenzia del Ministero a seguire i dati dei contagiati e dei guariti e lui era stato inserito proprio in quel gruppo inizialmente per seguire la parte più tecnica. Piano piano si trovò ad avere a che fare con la gestione di questi numeri e ad addentrarsi tra tamponi, sierologici, guariti, sintomatologie, aggravamenti.

Era diventato davvero esperto e aveva sviluppato una certa simpatia per questo Covid. Non era certo la pericolosa patologia delle origini e dal Covid-30 in poi si era accorto che si stava in lui sviluppando sempre più pungente il cruccio di non averlo mai avuto, questo Covid. Ormai i suoi  amici più stretti erano immuni e lui invece doveva ancora mantenere le precauzioni, la mascherina, il distanziamento. Non perdeva occasione per farsi esaminare quando i colpi di tosse si facevano più insistenti, quando la febbre saliva sopra i 37,5 ma i risultati erano sempre stati negativi e non aveva sviluppato alcun anticorpo.

In quella calda notte di quella calda fine di quel caldo Giugno di quel caldo anno che gli ricordava proprio i suoi primi mesi di lavoro Piero non riusciva a dormire, ancora doveva smaltire i sintomi della lunga storia d’amore finita, e si era seduto davanti al televisore. Chissà da quanti anni non lo accendeva, abituato com’era a proiettare in 3D dal telefono.

Il canale 39 proiettava la reclame del Covid-39 in offerta a 39.99 euro.

Forse il caldo, forse quella numerologica coincidenza o più semplicemente le sinuose forme dell’avvenente ragazza che, con fare sexy e ammiccante, scendeva dal drone direttamente sulla terrazza dell’acquirente: il fremito che avviluppò Piero gli prese le dita e lo fece procedere direttamente dal carrello alla carta di credito. Avrebbe avuto comunque il diritto di recesso, pensava.

Passò meno di un’ora quando ricevette la notifica di aprire la finestra e rimase sbigottito vedendo che, a fianco del drone che aveva ordinato, la ragazza della pubblicità c’era davvero. Alta, sexy, prosperosa ed ammiccante proprio come sullo schermo televisivo. Dall’alto dei suoi tacchi lo guardò e gli porse il pacchetto di Covid-39. Piero non sapeva se reagire di scatto e richiudersi dietro la finestra, ma i modi gentili ed accoglienti di lei lo persuasero a lasciarsi andare.

Il Covid-39 fu per Piero un’esperienza meravigliosa, in quella calda notte iniziata con i cupi e faticosi pensieri del mondo precedente si sentì in un attimo davvero libero. Altro che pandemia, protocolli, guarigioni, costrizioni, contenimenti, tabelle, analisi di covarianza. In quel pacchetto da 39,99 euro c’erano carne e sangue, battiti del cuore e brividi di freddo, libertà e follia, febbre a 40 e brucianti scariche intestinali. C’era tutto quello che gli mancava.

Erano passati dieci giorni da quella notte. Dieci lunghi giorni per esercitare il diritto di recesso da quel Covid che, dopo avergli dato una professione e uno stipendio per anni, gli aveva anche ricaricato la molla per cambiare pagina nella sua vita. Dieci lunghi giorni per non dimenticarsi di esercitare il diritto di recesso da quei sintomi.

Non sarebbe stato facile per nessuno rispedire tutto indietro e non lo fu neanche per Piero. Incartò il suo pacchetto con cura, vi appose il codice a barre richiesto e lo appoggiò sullo stesso balcone dove tutto dieci giorni prima era cominciato.

Quando il drone afferrò il pacchetto e la ragazza non c’era più ricevette un messaggio sul telefono.

“Speriamo di annoverarla nuovamente tra i nostri clienti” recitava.

 

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