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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 111 – 1 Luglio 2014 | 1 commento

Città come Bene Comune: verso un crowdfunding urbano

Città come Bene Comune: verso un crowdfunding urbano

Rottamazione o riqualificazione edilizia? Old Town o New Town? Sindaci di città o Sindaci di territorio?

Si presenta così oggi la questione urbana e significativa, finanche di rottura, sembra essere la posizione assunta dai costruttori italiani (ANCE): “le nostre città hanno bisogno di una visione strategica, una cultura sistematica di trasformazione, riqualificazione e rigenerazione urbana”.

Mettere le mani sulla città è contemporaneamente un bisogno e una tentazione. È sicuramente un bisogno rispetto ai cambiamenti sociali e in relazione alle diverse traiettorie di vita: la città cambia il suo volto e si configura in tanti “centri vitali”, in alcuni casi con dimensioni sovra-comunali, spesso slegati tra loro, con un “centro storico” che accusa un evidente calo di vitalità. Inoltre, con uno stock di patrimonio residenziale costruito per buona parte (60,8% degli edifici cielo-terra) prima degli anni ’70 – e che dunque non incorpora gli effetti delle prime leggi sull’antisismica e i progressi sulle tecniche costruttive volti a ridurre il “costo di esercizio” dell’unità abitativa – diventa non più procrastinabile un intervento di messa in sicurezza e retrofit energetico del patrimonio abitativo. Agire sulla città, poi, è indubbiamente una tentazione crescente che alimenta attese di ricette immediate attraverso rischiose soluzioni “low cost, last minute”, con effetto immediato, più in sintonia con i tempi del consenso politico piuttosto che con quelli di una visione strategica della città e dello sviluppo.

Con questo approccio il “fare la città” non è più legato ai temi dell’immobiliare e dell’urbanistica alla vecchia maniera, ma a uno sviluppo che coniughi mercato, qualità e sostenibilità, e che necessiterebbe addirittura di un “Ministro per la Città” in grado di facilitare tali processi. È una prospettiva che non induce solo la comunità del real estate a “innovare” il suo ruolo incisivo, ma che scardina le modalità “classiche” di finanziamento e richiede strategie finanziarie più adeguate alla realizzazioni di beni comuni.

Le regole di rientro dall’eccesso di debito pubblico non consentono infatti di ipotizzare una “statizzazione” nel finanziamento alla rigenerazione urbana. Sicuramente potrà essere attuato un processo di qualificazione pubblica, tale da liberare risorse improduttive per destinarle “a saldo invariato” ad investimenti sul territorio, ma realisticamente in Italia è da escludere la possibilità di una nuova dotazione pubblica “centralizzata” da 12 miliardi di euro, alla stregua dell’esperienza francese con l’Agenzia per la Rigenerazione Urbana.

Una sfida cruciale, allora, riguarda la capacità di reperire risorse finanziarie per sostenere le operazioni di sviluppo. È ormai noto che il nostro Paese, seppure in forma eccessivamente diseguale, detiene una importante ricchezza finanziaria privata nell’ordine dei 4mila miliardi di euro, che per metà soddisfa il debito pubblico italiano e per oltre un terzo è investita in depositi e obbligazioni bancarie. È possibile ipotizzare una strategia legata ad una raccolta obbligazionaria di scopo, anche grazie alla prossimità e al radicamento degli istituti creditizi, da destinare esclusivamente a progettualità urbane con stringenti condizioni di eleggibilità e secondo standard validati a livello europeo. Tale meccanismo su base volontaria prevede che le famiglie (obbligazioniste) rinuncino a una parte di rendimento – proprio per la consapevolezza dello scopo sociale e del principio di reciprocità legato alle azioni di rigenerare, riqualificare, ridurre inquinamento, migliorare qualità e aumentare l’attrattività –, che i progetti debbano avere un rendimento dimezzato (circa il 3%) rispetto a quello con cui alcune iniziative istituzionali di respiro nazionale si presentano sui territori e, infine, che lo Stato intervenga con una “garanzia pubblica” del capitale investito. Basti osservare alcune recenti esperienze di crowdfunding o di banche dei territori per rendersi conto come già sia in atto una piccola “rivoluzione” che, se abbinata a quella dell’affermarsi delle istituzioni di territorio, potrebbe lanciare una nuova era dei “Borc” (buoni ordinari di reti comunali, o anche di reti civiche).

Dopo avere percorso la strada “pubblicistica” (contributi pubblici all’edilizia) e quella “privatistica” (periodo d’oro del ciclo immobiliare), la strategia “civile” potrebbe rappresentare l’ultimo “treno” per affrontare la riqualificazione urbana con una risposta sistemica, per restituire alla finanza un ruolo di volano dei processi reali di sviluppo generativo e per sancire un nuovo corso al real estate.

1 Commento

  1. articolo molto interessante su un tema che merita approfondimenti costanti e indispensabili visto che siamo circondati da brutture che tendono a moltiplicarsi invece che a calare.
    Sottolineo le operazioni di “Benko” (imprenditore austriaco) le cui operazioni a bolzano sono state(forse) ridimensionate dalle battaglie degli ambientalisti dopo la terribile distruzione di mezza collina a gardone per ville hollywoodiane..
    a proposito del garda chiederei ai vostri esperti come si può fare perchè sia a sua volta protetto come bene comune. resto in attesa
    grazie mt

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