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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 142 - 1 Luglio 2017 | 0 commenti

Ambiente è economia: “Yes we can”

Ambiente è economia: “Yes we can”

“Ambiente è Economia” è uno dei nuovi “capovolgimenti” che può rientrare a pieno titolo tra quelli proposti dal filosofo Petrosino nel suo libro “La casa non è una tana, l’economia non è il business”. La straordinaria occasione del G7 sull’Ambiente concluso la scorsa settimana a Bologna ha definitamente soppiantato una certa retorica, ormai isolata e anacronistica, sul rapporto tra Ambiente ed Economia.

Una retorica per cui economisti e tecnici dell’ambiente sarebbero in disaccordo sulle cause ed effetti dei cambiamenti climatici. Molte fonti economiche, indicate accuratamente nell’interessante ed equilibrato lavoro di Bruno Carli (“L’uomo e il Clima. Che cosa succede al nostro pianeta?”, Il Mulino, 2017), presentato dal progetto “Nova Via by Nomisma” durante le iniziative #All4TheGreen di Bologna, mostrano come il clima sia una delle sfide più importanti che il mondo dovrà affrontare nei prossimi anni per arginare i rischi ecosistemici (economici, sociali, ambientali). Se non verrà fatto nulla per contenere le emissioni di anidride carbonica, i danni per il sistema economico globale equivarranno a una perdita complessiva fino al 20% del Prodotto Interno Lordo, pari all’impatto negativo delle due ultime guerre mondiali. Di fronte al costo del “non agire”, si potrebbe fare fronte all’emergenza sostenendo investimenti di prevenzione equivalenti all’1% del Pil mondiale entro il 2050. In questo senso, è utile recuperare la domanda mercalliana: “perché non ci sono in libreria manuali sul vantaggio di un frigorifero o un telefono… e stiamo ancora a interrogarci sulla fattibilità tecnico-economica degli interventi di mitigazione climatica?”.

Una retorica che, ad esempio, racconta il presente più come estensione inerziale del passato, piuttosto che in relazione alla forza motrice del futuro. L’adagio secondo cui per sottostare alle restrizioni ambientali delle normative il sistema delle imprese registrino un aumento dei costi e una perdita secca dei vantaggi competitivi sul mercato, non è più coerente con la crescita di un mercato legato all’adozione di strumenti volontari per lo sviluppo ambientale. Dopo alcuni “apripista” della sostenibilità, un ampio gruppo di imprese leader nel mondo e in Italia hanno mostrato come il conto economico di medio periodo sia beneficiato dalle azioni volte al miglioramento della qualità sociale e ambientale dei territori. Ad esempio, il trend dell’EPD (Environmental Product Declaration), ovvero un documento con cui le imprese quantificano le prestazioni ambientali di un prodotto o un servizio, è in netta crescita sia su scala nazionale che su quella regionale. Stando all’ultimo Rapporto Ervet, le dinamiche annuali hanno fatto registrare un +13% rispetto al 2015 e questo risultato conferisce al nostro Paese il primato a livello internazionale per numero di prodotti certificati (212 nel 2016, solo 64 nel 2011), seguono la Svezia (105 EPD) e la Spagna (61 EPD). A livello territoriale la regione Emilia Romagna mantiene il primo posto nella classifica nazionale per numero di EPD (97 prodotti/servizi nel 2016, rappresentanti il 46% del totale nazionale, a fronte di 17 prodotti nel 2011), seguita a pari merito dal Veneto e dalla Lombardia (36 prodotti/servizi rappresentanti il 17% del totale). È ovvio che le certificazioni ambientali non rappresentino la panacea e mostrino ancora un potenziale inespresso, ma testimoniano molto bene come il parametro ambientale da “costo” sia diventato “investimento”.

Se “Ambiente è Economia” non è ancora diventato un capovolgimento diffuso al funzionamento sociale, politico ed economico, non può essere attribuito né al disaccordo scientifico né alla retorica della libertà economica senza vincoli. Il movente può solo essere ricercato nel fattore umano (in)capace di cogliere (misurare e monetizzare) un dividendo economico e sociale dagli effetti ecosistemici della sua azione. Oltre che dalla (ir)responsabilità di riconoscere il vecchio proverbio Masai secondo cui “la nostra terra non ci è stata donata dai nostri padri, ma prestata dai nostri figli”.

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