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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 98 - 1 Aprile 2013 | 0 commenti

Credit crunch: atto terzo

Credit crunch: atto terzo

Prescindendo dalle impronosticabili conseguenze che l’attuale stallo politico avrà nelle prossime settimane, si allentano le tensioni sui mercati finanziari e gli istituti bancari ritrovano liquidità a buon mercato – grazie all’accesso a costo minimo ai rifinanziamenti della Banca Centrale Europea – ma la riattivazione del mercato creditizio risente di un progressivo avvitamento intervenuto durante la fase depressiva. Più le banche e le famiglie faticano ad onorare i loro impegni, più cresce lo stock dei crediti problematici, più le banche sono restie a nuove operazioni di prestito, accomodando così il ciclo economico e immobiliare negativo.

Diversamente da quanto accaduto nella prima ondata di creditcrunch – risultato di una crisi finanziaria internazionale e di forti vincoli alla liquidità sui mercati interbancari – l’attuale inaridimento del canale creditizio è riconducibile ai più elevati rischi percepiti riguardo alle prospettive dell’attività economica in generale e di particolari settori come quello immobiliare.

Nonostante le previsioni inizino a segnalare dei timidi segnali di ripartenza negli ultimi mesi del 2013, nel lento recupero che caratterizzerà il Paese nel prossimo biennio bisognerà fare i conti necessariamente con i lasciti della doppia recessione. La prima del 2008-2009 che, a fronte di un drastico taglio della capacità di risparmio delle famiglie e una caduta del potenziale di investimento nei beni durevoli, ha registrato un crescente processo di selezione del credito. La seconda del 2011-2012, il cui impatto indiscriminato sul sistema economico investe in modo particolare il soggetto famiglia e non risparmia neppure le imprese più produttive, ha provocato una caduta senza precedenti della domanda interna e un blocco sostanziale della funzione selettiva del credito.

Tra i pesanti lasciti di una recessione, nei confronti della quale non è valso alcun esercizio di discriminazione del merito creditizio, si annovera sicuramente il crescente deterioramento della qualità del credito.

Secondo le ultime stime di PricewaterhouseCoopers sui bilanci bancari, che risalgono ai primi nove mesi del 2012, il volume dei crediti deteriorati – cosiddetti non-performingloans, categorie di prestiti tra cui le sofferenze, gli incagli e i crediti ristrutturati per le quali la riscossione risulta incerta sia in termini di rispetto della scadenza che per ammontare dell’esposizione – si attesterebbe su livelli non troppo dissimili a quelli dell’anno precedente (107 miliardi di euro nel 2011, 115 miliardi di euro nel 2012). Ciò può essere spiegato solo grazie all’effetto delle moratorie e all’atteggiamento bancario di “rimandare” il più possibile eventuali svalutazioni creditizie, ma per avere un dato attendibile bisognerà aspettare la divulgazione dei bilanci bancari dei più importanti istituti italiani.

Tale ammontare, in ogni caso, risulta indubbiamente contenuto se paragonato a quello di altri Paesi europei di riferimento (stando al 2011, 196 miliardi di Euro in Germania e 172 miliardi in Gran Bretagna), anche se la comparazione è influenzata da diversi criteri di contabilizzazione e, soprattutto, prassi bancarie alla revisione degli asset. Tuttavia, è sulla dinamica del deterioramento del credito che emergono le maggiori preoccupazioni, nonostante i diffusi sforzi “politici” di contenimento. In primo luogo, proprio nel culmine dei due picchi recessivi (2009 e 2012), le forti difficoltà sul mercato del lavoro hanno contribuito a far registrare un aumento di oltre il 40% su base annua delle consistenze dei non-performingloans, in controtendenza rispetto alla diminuzione dello stock deteriorato sperimentata in Germania e Gran Bretagna. Per giunta, nell’ultimo lustro, in Italia l’impatto della congiuntura economica negativa risulta essere il peggiore (+155% nel volume di crediti deteriorati), escludendo l’Irlanda.

Il male dei crediti deteriorati, allora, è comune all’intera Europa, ma l’Italia ne è particolarmente affetta.

In assenza di eccezionali interventi normativi, la gran parte degli istituti di credito dovrà procedere a pesanti rettifiche di valore e a gravosi accantonamenti prudenziali. L’inesorabile scivolamento verso la sofferenza di una quota non trascurabile di crediti, associato ad una più stringente regolamentazione che impone alle banche di detenere capitale addizionale rispetto al passato, spingerà ulteriormente ad un ripensamento delle strategie allocative. È la nuova genesi del credit crunch, l’atto terzo di quello iniziato nel 2008.

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