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Scritto da nel Numero 102 - 1 Agosto 2013, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

Il gabbiano che stava lì

Il gabbiano che stava lì

Stava sempre fermo lì, non si muoveva mai. Arrivava all’alba e se ne
andava al tramonto. Si metteva sul parapetto di ferro e non si
schiodava per nessuna ragione, a parte quando grandinava che gli si
rovinava il piumaggio. Stava sul ponte Palatino perché era divertito
dalla circolazione inversa delle automobili. In tutta Italia viaggiano
sulla destra, diceva, e su questo ponte invece fanno come in
Inghilterra.

Agenore stava lì, e non si muoveva mai. Gli altri gabbiani non gli
rivolgevano la parola perché conoscevano il suo caratteraccio. Certo
la sua figura non lo aiutava: era un gabbiano reale nordico
decisamente fuori misura per la sua specie, gigantesco. Non si faceva
mai una svolazzata con gli altri, nemmeno durante il fine settimana.
Non andava mai a carogne con nessuno, e pescava sempre da solo.
A lui piaceva stare lì sul parapetto. Stava fermo e guardava la gente
che attraversava il ponte per cambiare sponda del Tevere. Normalmente
puntava una persona dall’inizio del tragitto e la seguiva con lo
sguardo finché non usciva dal suo campo visivo. Questo comportamento
faceva sì che i passanti, straniti dall’occhio di Agenore, curioso
fino alla ferocia, abbassassero lo sguardo e s’affrettassero; ogni
tanto si rigiravano, o cambiavano marciapiede.

Una volta una bellissima esemplare di gabbiano corallino gli si
avvicinò. Provò a parlargli, ma lui non le rispondeva, finché non gli
chiese se era per amore che stava sempre da solo. Agenore si voltò
verso la gabbiana e per la prima volta dopo anni il suo becco
farfugliò una parola. Telefassa. Telefassa, diceva.
- È tua moglie?
- È morta mentre cercava nostra figlia dispersa. Sono quasi sicuro che
la colpa sia di Zeus. Lui ha rapito Europa, lui ha ucciso Telefassa,
lui mi ha mutato in gabbiano. Per sempre. Per condannarmi a mangiare
pesci marci e topi di fogna.
- Ma allora è per questo che tutti ti conoscono con quel nome strano,
Agenore. Allora sei veramente il re di Tiro… e che ci fa uno così
importante, il figlio di Poseidone, su questo ponte?
- Guardo. Guardo le persone, le coppie che passano felici su un ponte
che va all’incontrario. Non se ne devono neppure preoccupare.
Probabilmente non ci pensano neanche.
- Ma quanto tempo è che sei qui?
- Nel 1891 mi dissero che era appena stato inaugurato. Io vagavo
inutilmente sul Mediterraneo da secoli, e mi ero stufato. Così venni
qui.
- Sì, ma non capisco che senso abbia tutto questo.
- Che senso ha vivere quando il re degli dei rapisce tua figlia per
violentarla e ti uccide la moglie? Che senso ha, quando i tuoi figli
sono morti da decine di centinaia di anni, la tua stirpe si è estinta
da secoli e tu non puoi raggiungerli perché sei vittima di un
sortilegio eterno? Almeno qui c’è gente che passa e sorride. E su
questo posto si viaggia in senso opposto rispetto al resto della
città. Mi sembra piuttosto interessante. Ma ora vattene, sono stufo di
parlare.

La gabbiana volò via, Agenore non disse più una parola e dopo qualche
anno se ne andò, perché ormai era diventato una specie di attrazione.
Si dice che ora abiti nella terra di sua madre, la Libia.
Ma alcuni vecchi a Roma sostengono che di mattina presto, quando la
brina rende scivolosi i panorami e la foschia si stiracchia sulla
Marmorata, Agenore se ne vada ancora a zonzo per la città, e che ogni
tanto si sistemi di nascosto sul ponte Rotto, per guardare il suo
“ponte all’incontrario” senza essere infastidito.
Quei vecchi sostengono anche che nel giorno di Capodanno, al tramonto,
il sole macchi il cielo di un rosso più intenso, per ricordare la
tragedia di Agenore, e che sotto gli archi e tra le colonne di Roma il
vento fischi più forte del solito, e che a tendere l’orecchio si possa
sentire un canto di donna, mentre un grande gabbiano vola basso, come
un bianco avvoltoio, sulle catacombe di Santa Ciriaca.

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