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Scritto da nel Internazionale, Numero 119 - 1 Maggio 2015 | 0 commenti

C’era una volta la Libia…ma l’Europa che fa?

C’era una volta la Libia…ma l’Europa che fa?

La Libia, come abbiamo già avuto modo di raccontare dalle pagine de L’Arengo, dopo la caduta di Gheddafi è diventata una polveriera, la guerra civile incombe ormai da circa quattro anni in una incessante contrapposizione tra bande armate. Mentre il conflitto si sviluppa con tragiche conseguenze, il Mediteranneo è diventato un grande cimitero dal numero di vittime indefinito, le diplomazie sono al lavoro per scongiurare un conflitto armato che potrebbe avere come unica conseguenza quella di fare un enorme favore al Califfato, che non aspetta altro che trasformare la Libia in una palude bellica sul modello afgano.

Nei giorni scorsi il partito libico di Giustizia e Costruzione, legato ai Fratelli musulmani, ha chiesto all’inviato dell’Onu per la Libia, l’italiano Bernardino Leon, di ritirare il suo piano per arrivare ad una fine della crisi nel paese nord africano. Secondo il partito islamico “il piano di Leon ignora i contenuti di tutte le nostre iniziative per il dialogo e ripropone quelli che erano i motivi principali per cui e’ scoppiato il conflitto nel paese facendoci ritornare al punto di partenza”. Per i Fratelli musulmani non si può ignorare la sentenza della Corte costituzionale che invalida il parlamento di Tobruk, riconosciuto invece dal piano di Leon. Cosa prevede il piano di pace proposto dall’inviato Onu? La costituzione della House of Rapresentatives, un Governo di unità nazionale formato da un presidente e due vice premier che insieme ad altri membri formerebbero un Consiglio di Presidenza “non affiliato a nessun gruppo e accettabile da tutte le parti concorrenti nel conflitto e da tutti i libici”. Il Parlamento di Tripoli verrebbe cancellato sostituito proprio dal Consiglio di Stato e nel frattempo la creazione di un’Assemblea costituente che dovrebbe avere il compito di redigere la nuova costituzione.

Tuttavia il piano non sembra decollare perché oltre alle reticenze politiche c’è la guerra, proprio a colloqui in corso il premier Abdullah al –Tihinni ha annunciato un raid militare per “liberare” Tripoli dove ci sono le milizie di Alba Libica, guidate da Omar Al Hassi, composta da guerriglieri legati a formazioni islamiche come Fratellanza Islamica o appartenenti ad una minoranza berbera. Nel frattempo a Bengasi troviamo il gruppo di potere dei jihadisti salafiti, formatisi durante la guerra civile ed ha come obiettivo il ritorno della Sharia in Libia. Gli jiahadisti salafiti si riconoscono nella miliiza di Ansar Al Sharia, affiliata ad Al Qaeda, alleata con la Brigata Martiri del 17 febbraio, è accusato di aver ucciso nel settembre del 2012 l’ambasciatore americano Chris Stevens.Dalla Brigata Martiri si sono staccate delle milizie che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico, e a Derna hanno costituito il Califfato con l’intento di espandersi verso Tripoli. Nella parte a sud della Libia invece prevalgono tuttora logiche tribali con i Tebu, alleati del generale Haftar e i Tuareg che invece sostengono il gruppo di miliziani che sono a Misurata. Le due tribu si contendono un’area molto vasta, con una grossa presenza di petrolio, al confine con Algeria e Tunisia. Infine in quest’area ci sono gli Amazigh, tribu berbera, che risponde solo a se stessa. Il pericolo Isis incombe tuttavia sarà non facile per i combattenti di Abu Bakr al Baghdadi restaurare e consolidare il Califfato. Sull’onda dell’indignazione per l’ultima tragedia del mare l’Italia continua a pressare per un maggiore coinvolgimento degli organismi internazionali nella crisi del Paese nordafricano.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon sulla questione ha detto “non esiste una soluzione militare alla tragedia umana che sta avvenendo nel Mediterraneo”. La guerra non può essere una soluzione alla tragedia dei migranti conseguenza del conflitto libico. Come uscire da un conflitto che potrebbe avere conseguenze disastrose per il prossimo futuro dell’Europa? Lavorare sul tavolo della diplomazia per cercare la pace tra le fazioni in conflitto depotenziando “l’effetto Califfato”,l’invio di truppe Ue non per combattere ma per monitorare e guidare la fase di disimpegno armato arrivando alla creazione di una “green zone” come in Iraq, cioè un’area internazionale che comprenda le principali infrastrutture come aeroporti ed infine il controllo delle frontiere, il tasto dolente su cui l’Europa non sembra trovare quell’unità politica e di azione in realtà mai trovata. Citando Charles de Gaulle “….è l’Europa, che deciderà il destino del mondo”.

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