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Scritto da nel Numero 124 - 1 Novembre 2015, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

Lacrime

Lacrime

 

Alle poste la fila era piuttosto lunga; strano per quell’ora. A ogni buon conto, non meritava tornare a casa né aspettare quindici turni in piedi. Così la signora Ada, numeretto in mano, si sedette.

Un vecchio che si siede alla posta non si siede e basta. Si siede di più degli altri. Si avvicina lentamente al sedile o alla panca, si gira lentamente di schiena per controllare dove va a poggiare l’osso sacro, si lamenta lentamente del dolore che queste due azioni provocano e poi si lascia andare, giù, un’accelerazione improvvisa che culmina nella seduta, una sbuffata di soddisfazione e via, scaricata a terra la stanchezza, scaricate l’insonnia e la sofferenza, scaricati i dispiaceri e i timori. Da quel momento, fino al dramma del rialzo, il vecchio gode di una seduta superiore a quelle altrui. Dal basso del suo nuovo scranno primeggia su ogni altra prospettiva dell’ufficio postale, un punto di vista a mezz’altezza che consente di scrutare approfonditamente senza essere notati. Nonostante ogni vecchio sia cosciente dell’attesa prolungata, nessuno verrà mai trovato alle poste con un libro o un cruciverba: niente è più interessante di guardare a tutt’agio come cambia il mondo attraverso i gesti dei pagatori di bollette.

La signora Ada sapeva di non dover rischiare di perdere lo sguardo nel vuoto. Quando le succedeva, la mente girovagava per conto suo nei ricordi di una vita, e alcune lacrime scendevano lente. Quando una lacrima arrivava sotto alle borse delle occhiaie e saltava giù dallo zigomo,

disegnando una linea diafana, lei si rendeva conto che stava piangendo; si asciugava lesta la guancia e sistemava meglio le natiche dolenti dondolando di qua e di là per raddrizzarsi, concentrandosi sulle persone che litigavano con i pacchetti da spedire, con le multe da pagare o con l’insolenza di qualche furbo che voleva passar loro davanti.

Vito entrò dal freddo invernale a passo spedito, guardandosi molto intorno, tenendo entrambe le mani nelle tasche del giubbotto. Appeso all’avambraccio sinistro portava uno zaino, che pareva essere vuoto. Era bardato da sembrare uno sherpa. Passò proprio davanti al luogo in cui la signora Ada, in quell’istante, aveva inconsciamente stabilito il punto di vuoto in cui perdersi. Si fermò e la guardò, perché aveva gli occhi gonfi di lacrime. Non sapeva che fare. Voleva lasciar perdere, ma si decise e le si avvicinò. Appoggiò lo zaino per terra e con la mano sinistra dette uno scossone alle spalle della vecchia, che pareva non accorgersi di lui anche se le stava davanti.

“Tutto bene, signora? Sta bene? Signora?”.

Sobbalzò.

“Eh? Oddio, mi scusi” e si asciugò il viso.

“Tutto okay, signora?”.

“Sì, sì, la ringrazio. Grazie mille, grazie”.

Vito accennò una carezza sulla spalla della signora Ada, ma già guardava altrove. Mentre si diresse a passi lunghi verso l’ufficio del direttore tirò fuori di tasca la destra, che impugnava una Colt Defender calibro 45, e sparò un colpo sul soffitto ordinando a tutti di sdraiarsi a terra.

 

 

 

 

Si ringrazia la casa editrice Fermento (www.fermento.net)

 

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