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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 116 - 1 Febbraio 2015 | 1 commento

Due ruote per rinascere. Lettera aperta ai candidati a sindaco di Roma

Due ruote per rinascere. Lettera aperta ai candidati a sindaco di Roma

Come affermò chiaramente Strabone un paio di migliaia d’anni fa, il successo di Roma in età repubblicana si fondò principalmente su tre operazioni con cui si offrivano servizi di primaria importanza alle genti delle province che venivano annesse: la costruzione di acquedotti, fogne e innanzitutto di strade. Realizzare vie comode e sicure fu un perno fondamentale su cui muovere l’espansione dell’influenza territoriale, e consentì avanzamenti culturali non indifferenti. Basti pensare che, oltre a facilitare gli scambi commerciali ma anche le conoscenze storiche, tecniche e artistiche, la possibilità di viaggiare era regolata da una serie di leggi previste nell’ordinamento del diritto romano: un aspetto che oggi può sembrare trascurabile, ma che è di incredibile importanza nell’evoluzione dell’essere umano perché quei principi sancivano un primato del diritto pubblico su quello privato.

L’affermazione dell’avanzamento culturale passò dunque sul selciato della tutela di una mobilità che era alla base del progresso. E adesso? Una lezione tanto chiara agli antichi, quali riflessi vanta sul loro futuro ossia sul nostro presente? Pochi, a giudicare dallo stato in cui versano tante città. E l’esempio di Roma, oltre che calzante, è indicativo. La capitale vive in uno stato d’abbandono che ha proprio origini culturali. Dal dopoguerra non si è riusciti a risparmiarla da un imbarbarimento tanto evidente quanto doloroso, passato per una speculazione edilizia su cui intellettuali d’alto livello hanno puntato il dito senza effetto e per un impoverimento del senso di socialità che culmina in un egoismo incredibile, terribile, incomprensibile. Abbandonare i rifiuti per strada è un’abitudine che in quattro e quattr’otto abbracciano anche i turisti, così come disprezzare l’unicità dei monumenti e tollerare le piccole prevaricazioni che ogni giorno si è costretti a subire; i marciapiedi del centro sono regolarmente pieni di cartacce, vetri, escrementi d’ogni genere e questo sembra non sfiorare le coscienze di chi, per colpa di sé stesso, si dedica allo slalom speciale del pattume.

Ma c’è un esempio che più di tutti rispecchia l’assenza di civismo dei romani d’oggi: il disprezzo dell’educazione stradale. Il comportamento che si assume per strada dice molto sulla persona che lo attua, a cominciare dalla scelta di mobilità. Non può avere futuro una città dove quasi tutti possiedono un’auto e la utilizzano in solitudine senza chiedere a loro medesimi quale effetto possa sortire tale noncuranza. È vero per contro che non mancano, anzi sono in aumento, le persone che fanno scelte virtuose – tali sono, nell’eccezionalità della situazione – come andare in bicicletta, rischiando ogni giorno: sono persone che, volontariamente o meno, contribuiscono alla creazione della figura dell’umano in bici nell’immaginario egoista e talora violento, in ogni modo abbrutito, dell’automobilista cittadino. Una figura leggera e soave, che non di rado oppone un sorriso al grugno stressato di chi sta chiuso a perder tempo in una pesante e inarmonica scatola di lamiera.

Tuttavia, se con i consoli repubblicani abbiamo appurato che il progresso passa per la facilitazione della mobilità, gli amministratori odierni non colgono la necessità di un cambio di passo in questo senso, aggiornando le necessità di duemila anni fa a quelle d’adesso. Non comprendono che servono treni che portino i pendolari, tram e autobus elettrici che portino anziani e turisti, limiti di velocità seri (quanto sarebbero importanti!), piste ciclabili che guidino tutte le persone sane comprese tra i sei e i settant’anni a scuola, al posto di lavoro oppure ovunque abbiano intenzione di recarsi. Nessuno tra i provvedimenti presi negli ultimi decenni è andato in questo senso, sommerso in una trascuratezza che ha generato quel che tutti possono vedere camminando per Roma: la decadenza dell’urbanità, la sconfitta della socialità, l’immiserimento dello spirito.

La crisi di Roma non si risolverà finché a Roma non si punterà sull’educazione stradale e su una rivoluzione del trasporto pubblico e dell’utilizzo delle sedi stradali. Chi ha a cuore le sorti della città e delle persone che la abitano ha il dovere morale di non esitare ancora e di prendere posizione.

1 Commento

  1. La politica e l’amministrazione della città hanno le maggiori responsabilità dello scarso senso di comunità che, purtroppo, segna Roma. È un male antico, aggravato dalla decadenza delle classi dirigenti degli ultimi anni. Tuttavia, una quota di responsabilità spetta anche a ciascuno di noi, al singolo cittadino. Ora, è compito della politica e delle rappresentanze istituzionali dare il buon esempio per avviare la ricostruzione morale, economica e sociale di cui Roma ha disperatamente bisogno. Nel programma che stiamo preparando per il governo della Capitale, la priorità è la mobilità sostenibile. In termini del calcio, si potrebbe definire un 4-3-3: 4 passanti ferroviari, per connettere Roma con le principali aree della provincia (Fiumicino-Orte, Civitavecchia-Tivoli, Viterbo-Castelli, Civitacastellana-Nettuno-Formia); 3 linee metro (con il completamento della metro C e il prolungamento della metro B fino a Casal Monastero) e 3 linee di tram che attraversano la città. La “cura del ferro” è la condizione per pedonalizzare larga parte del centro storico e per sviluppare e rendere praticabili piste ciclabili. Il dimezzamento in 5 anni del numero di auto in circolazione a Roma sembra un sogno, ma può diventare realtà.

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