Indagine sulle famiglie italiane
Una mappa evolutiva delle famiglie italiane in base ad alcune caratteristiche patrimoniali e finanziarie
Fonte: Nomisma, Indagine sulle famiglie 2016
Caratteristiche reddito-ricchezza delle famiglie italiane e propensione all’investimento in abitazioni
RISPARMIO |
RICCHEZZA (casa di proprietà o possesso di strumenti finanziari) |
INVESTIMENTI REALI |
2015 (%) |
2016 (%) |
SI |
SI |
SI |
16,2 |
14,8 |
SI |
SI |
NO |
43,6 |
39,9 |
SI |
NO |
NO |
7,1 |
7,4 |
NO |
SI |
SI |
3,8 |
2,2 |
NO |
SI |
NO |
15,4 |
23,1 |
NO |
NO |
NO |
12,4 |
9,3 |
Fonte: Nomisma, Indagine sulle famiglie 2016
Nel “mare” d’incertezza sulle prospettive sociali ed economiche future del Paese, la consueta indagine annuale di Nomisma sulle famiglie italiane attorno alle scelte finanziarie e all’investimento in abitazioni consente di lanciare alcune “boe”, se non di salvataggio almeno di segnalazione.
Prima boa: “la casa non è (più) una tana” – direbbe il filosofo Silvano Petrosino – almeno per custodire i risparmi di una vita. Si attesta con crescente intensità la tendenza di una mutata concezione del bene casa, in cui l’intenzione di acquisto espressa dalla domanda potenziale (circa 2 milioni di famiglie intenzionate ad affacciarsi nel 2016 sul mercato della compravendita, rispetto a 2,5 milioni del 2015 da cui sono poi scaturite 450mila compravendite reali) rientra all’interno di un quadro di necessità familiare piuttosto che di investimento, nonostante le favorevoli condizioni di asset allocation (valori immobiliari scesi e bassi tassi di interesse), e allontana progressivamente, soprattutto nelle giovani generazioni, il mito della casa come “bene rifugio” aprendo semmai a nuove concezioni di “bene condiviso” (co-housing, hosting, etc).
L’analisi per cluster di famiglie restituisce un quadro in continua evoluzione e di difficile netta interpretazione. Proprio dal gruppo più numeroso degli “illiquidi” (6,4 milioni di famiglie su 24,5 milioni nel complesso, che hanno una casa in proprietà ma non possono contare su risorse finanziarie) emergono i maggiori segnali di “raffreddamento” delle intenzioni di acquisto o ristrutturazione, mentre i “tradizionalisti” (2,6 milioni di famiglie risparmiamo, hanno una casa in proprietà, ma non detengono strumenti finanziari) riescono a esprimere una domanda, conciliando le difficoltà di contesto con la necessità di dare una prospettiva ai figli. Un scenario di fragilità e paradossi in cui le famiglie più “equipaggiate” crescono a 6 milioni, ma preferiscono restare liquide, mentre per una parte considerevole di famiglie la “trappola” diventa la cifra di un condizione di debolezza con poche vie d’uscita.
Seconda boa: “future is now” da slogan pubblicitario diventa la bussola di orientamento delle scelte di investimento. Le famiglie hanno contezza dei fattori in miglioramento (assenza di pressione inflattiva, lieve miglioramento del reddito disponibile, spiragli occupazionali), ma vengono considerati transitori e non si trasferiscono in una decisione di acquisto/investimento (a meno di esigenze legate al nucleo familiare o a spese per la casa non più rinviabili) nel medio-lungo termine. Si fa largo, in questo senso, un inedito “approccio presentista” non tanto e più come atteggiamento precauzionale, ma come ostacolo a proeittare le proprie scelte di vita su un orizzonte temporale di lunga gittata.
Due “capovolgimenti” strutturali condizioneranno le prospettive di investimento abitativo da parte delle famiglie. Il primo è rappresentato dal prevalere di un atteggiamento attendista. Del 54,7% di famiglie con un profilo adeguato per sostenere una domanda di investimento (in termini di risparmio generato e patrimonio accumulato), più di due su tre dichiara di non aver acquistato o ristrutturato casa. Il secondo è costituito dall’assenza dei requisiti minimi. Oltre il 9% delle famiglie non può esprimere una domanda di investimento reale, non potendo contare né sul flusso di risparmio e né sullo stock di capitale, mentre colpisce la quota di famiglie (23,1%) che, pur potendo contare su una dotazione patrimoniale, risente di una crescente difficoltà a risparmiare e non esprime una domanda di investimento.
Terza boa: l’incubo delle sofferenze bancarie non scompare, ma cambia volto. L’80% degli attuali crediti deteriorati (cosiddetti non performing loans) in pancia alle banche italiane riguardano soprattutto le imprese colpite dalle difficoltà di mercato, ma è ragionevole aspettarsi un loro prossimo aumento sul lato delle famiglie, che in questi anni hanno dimostrato una maggiore capacità delle imprese di recuperare i pagamenti insoluti al fine di regolarizzare la propria posizione. Cresce infatti la percentuale di famiglie che dichiara un ritardo nel pagamento di una o più rate del mutuo, rappresentando il 22,8% nel 2016 (dal 14,4% dello scorso anno): ciò significa che quasi una famiglia su quattro registra ritardi nei pagamenti del mutuo e che sempre più sarà meno equipaggiata a far fronte agli impegni futuri.
Queste “boe” non sono assolutamente esaustive rispetto alla complessità dello scenario in atto, tuttavia segnalano la consapevolezza che un’epoca è finita e che nessuna evidenza riuscirà a restituire i contorni della “nuova epoca”. Per questo in molti rilanciano i fasti della fase del ciclo d’oro economico sostenuto grazie alla domanda immobiliare e al mito del “compro casa”; non sono pochi i grandi tifosi della finanza immobiliare “per tutti” che, dopo esserne stati i cantori, oggi faticano a trovare nuove illusioni da coltivare; un’attenta riflessione, invece, dovrebbe invece suggerire una postura da “analisti apprendisti”, ovvero di coloro che fanno tesoro di alcune evidenze, non sono in grado di oggettivizzarle in assoluto, ma da queste possono apprendere per immaginare nuove traiettorie di futuro e per sviluppare intorno alle diffuse e accresciute esigenze abitative delle famiglie un diverso mercato immobiliare ad utilità sociale.