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Scritto da nel Numero 139 - 1 Aprile 2017, Politica | 0 commenti

La perenne stagnazione politica

La perenne stagnazione politica

In una fase storica di assoluta incertezza, in cui dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti grandi stravolgimenti devono ancora probabilmente avvenire, l’Italia si ritrova fragile e impantanata in un sistema Paese che mostra sempre più tutti i difetti, per l’appunto, dell’italianità.

Lungi dal cadere in lagnanze qualunquistiche, non si può negare come a fondamento delle negatività che caratterizzano l’andamento della vita sociale, economica e culturale vi siano da un lato, alla base, i singoli cittadini, incapaci di superare un individualismo sempre più prepotente ed in barba ai valori cristiani che professano soltanto allorquando c’è da appendere un crocifisso; dall’altro, c’è una classe politica che continua a dare, nonostante tutto, il peggio di sé. Con responsabilità anche maggiori perché dovrebbe fungere da “guida” per il popolo.

Così, mentre l’amministrazione Trump è sempre più interlocutore imprevedibile e irruento al tavolo della geopolitica mondiale e l’Unione Europea vive un lungo momento d’involuzione, i protagonisti della politica italiana pensano sopratutto, ciascuno col suo gruppo (non sono all’altezza di denominarsi movimenti, correnti o persino partiti) alla propria sopravvivenza. Giocando con la pazienza del popolo, creano e disfano, alla ricerca della formula migliore che consenta il prolungamento dell’esperienza a Roma per una legislatura ancora. Come sempre, si dirà. Ma, in fondo, se si guarda al passato con tutte le criticità che ha evidenziato (e i fardelli lasciati in eredità al presente), si può notare come la Prima Repubblica sia sempre stata caratterizzata da elementi interessanti di reale progresso in cui i partiti hanno giocato un ruolo di “formazione” della società e catalizzazione delle necessità e delle problematiche sociali provenienti dal “basso”. Mentre, negli anni del tentato bipolarismo, la figura centrale di Berlusconi ha fornito in qualche modo argomenti (scadenti) al dibattito politico, dando modo perlomeno a chi si opponeva di difendere determinati valori e diritti con apparente passione e perentorietà. Fermo restando, come ribadito da più parti, che è stato un decennio in cui si sono perse occasioni gigantesche per migliorare la società in un periodo in cui il declino economico era ancora “sopportabile”.

Dalla caduta più o meno voluta di Berlusconi (con gli italiani che hanno dimenticato in fretta la loro adesione di massa ad un progetto che negli anni manifestava sempre più la sua inconsistenza e confusione, ma nonostante tutto hanno continuato a difendere fino al 2013), il livello è ulteriormente sceso. Perché nonostante sia ben chiaro alle classi dirigenti quale siano le principali criticità sulle quali mettere mano (c’è l’imbarazzo della scelta), anche con provvedimenti semplici, esse continuano ad occuparsi quasi esclusivamente, peraltro in pura forma teorica, di se stesse. Alla luce del sole, senza vergognarsene.

Allora la sinistra vive una crisi d’identità sulla quale non sta lavorando, non rendendosi conto che non è presentabile, senza una precisa personalità, al popolo. Mancano coraggio e capacità di superare divergenze ideologiche. Al centro, il Partito democratico è il partito di Renzi: fin quando non lo lasceranno definitivamente coloro che lo odiano, risulterà sempre zavorrato. A destra, sfumata la creazione di un Partito popolare europeo (non pareva opzione così complicata) che facesse evolvere i conservatori italiani (facendo un po’ di selezione), i singoli movimenti non sanno resistere alla tentazione del giocare la partita elettorale della vita nella speranza di capitalizzare rabbia e disagio sociale per rafforzare le posizioni in parlamento.

Poi c’è il Movimento Cinque Stelle che, al netto di innegabili pregiudizi e attacchi pretestuosi e tendenziosi di stampa e tv, sta clamorosamente deludendo le attese rendendosi protagonista di mosse francamente inspiegabili nel momento in cui ha il vento in poppa e, con soluzioni più “prudenti”, avrebbe potuto ambire realmente al 40 per cento delle preferenze alle prossime elezioni. Non si capisce come abbia potuto gestire in maniera così sciagurata risorse come Pizzarotti a Parma o le primarie a Genova, per fare un paio di esempi. Se nonostante palesi incoerenze il movimento Cinque Stelle resta ancora primo nelle preferenze, il resto dell’agone politico dovrà pur farsi qualche domanda.

Questa disamina nasce dall’incredulità nell’assistere al balletto di sigle patetiche e inutili dichiarazioni, in un epoca che si ritiene molto delicata. Perché davvero il mondo sta cambiando in fretta ed occorre finalmente avere il coraggio di studiare alternative all’attuale sistema economico, da implementare magari a piccoli passi, ma con chiarezza e determinazione. E’ compito della politica, di ciascun partito o movimento, proporre ricette chiare e presentarle al popolo. Che si differenzino bene l’una dall’altra. Soluzioni per la società, per l’ambiente, per la giustizia, per la legalità, per la dignità delle classi sociali più deboli. Programmi chiari che si riflettano anche nelle relazioni estere, senza timori reverenziali né ipocrisie diplomatiche, che oramai lasciano il tempo che trovano e dimostrano, più che altro, incapacità e inconsistenza.

Si, la normalità diventata utopia. Eppure, gli spazi per portare avanti rivoluzioni come ad esempio un reddito di dignità attraverso l’uso di una specie di moneta complementare, pare ci siano. Staremo a vedere. E, poi, occhio alla tecnologia: può ancora cancellare l’umanità oppure, in qualche caso, aiutarla a rinascere. Mentre la politica italiana continua a blaterare, in una perenne fase di stagnazione nell’assurdo.

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