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Scritto da nel Internazionale, Numero 150 - 1 Aprile 2018 | 0 commenti

I confini dell’orrore

I confini dell’orrore

Nel percorso che ogni essere umano fa per formare il suo sé etico e politico una delle più grandi difficoltà a cui va incontro è la mistificazione. Con questa parola, mutuata dalla lingua francese, s’intende una distorsione, perlopiù deliberata, della realtà dei fatti. Riflettendo sul mondo dell’informazione è facile rendersi conto di come questo accada ogni giorno e contribuisca a tenere nascosti avvenimenti o a diffondere opinioni eterodirette su argomenti che potrebbero generare prese di coscienza di larga parte della collettività.

Accade ogni giorno, dicevamo, e ne è un esempio la vicenda che ha visto coinvolte le cosiddette forze dell’ordine transalpine di qua dal confine italiano. Gli eventi sono noti: alcuni agenti francesi di dogana hanno irrotto, armati, in un centro d’ausilio per migranti situato a Bardonecchia; la motivazione addotta era il sospetto che una delle persone che vi si trovavano fosse uno spacciatore. Questo episodio, a cui sono seguite vibranti dichiarazioni di politici indignati e perfino l’apertura di un procedimento penale a carico di ignoti, ha avuto ampio risalto sulla stampa nostrana mentre è stato reputato nemmeno degno di menzione su quella d’oltralpe. Si è parlato di offesa al sacro suolo patrio, di sciovinismo, di necessità di espellere i diplomatici di Parigi, di abrogazione degli accordi di Schengen; e il punto è proprio questo, che non si è parlato del vero problema, ossia della violenza perpetrata ai danni di esseri umani già vessati dalla schiavitù della fuga. Ciò che subiscono quelle persone non interessa minimamente agli organi d’informazione, perché quel che conta è una retorica pseudopolitica che segue le linee populistiche tracciate in seno alle istituzioni di queste malate repubbliche.

La violenza di stato, dunque, non ha confini. E il primo problema è proprio questo: l’esistenza dei confini, radice e causa di tanto male antico e moderno. Molti altri sono gli esempi che si possono portare. Il più importante, di questi giorni, è lo scambio di dichiarazioni fra il presidente della Turchia e il primo ministro di Israele, due uomini il cui sprezzo della vita umana è secondo solo alla loro brama di potere: a seguito della barbarica repressione eseguita dall’esercito di Tel Aviv al confine (per l’appunto) del territorio di Gaza, Recep Tayyip Erdoğan ha parlato di atto di terrorismo e Benjamin Netanyahu ha risposto che non accetta lezioni da chi bombarda le popolazioni civili. Nel triste accorgersi che hanno entrambi ragione, ancora una volta nessuno si è sognato di rilevare che il problema sono i confini, queste ignobili linee su cui si erigono palizzate o muri per dividere esseri umani che tra di loro non potrebbero fare altro che cercare di vivere bene. Perché in fin dei conti è questo che conta; Aristotele fondò tutta la costruzione dell’Etica nicomachea assumendo che il bene è ciò a cui ogni cosa tende. Nessun umanista può rimanere impassibile di fronte all’orrore generato dall’esistenza delle frontiere, e nessuna persona il cui intelletto voglia operare con spirito sincero può nascondere a sé stesso che tutte queste problematiche derivano proprio dall’esistenza delle frontiere.

Non è chiaro dove nasca la necessità di dividere l’unica vera risorsa comune dell’umanità, ossia la Terra, in inutili spicchi di oppressione garantiti dalla violenza e mantenuti in piedi dalla tensione fra loro medesimi. Si rabbrividisce a sentir parlare di sovranità dello stato, un coacervo di concetti violenti che fonde in un ambito negativo (il limite territoriale che lo stato stesso si dà) imposizioni morali (perché indubbiamente ideologiche) e fisiche che si esprimono in una indiscutibile restrizione delle libertà personali.

È evidente che gli esseri umani più deboli e bisognosi sono quelli che soffrono maggiormente la divisione del pianeta. Ma il mantenimento dello status quo non proteggerà per sempre il disprezzo di coloro che avallano la retorica istituzionale. È vero che le frontiere non cadranno mai, ma un giorno o l’altro verranno abbattute. Per un conquistato avanzamento culturale dell’umanità come insieme di individui che pensano e agiscono in virtù delle necessità di tutti. Oppure perché le necessità di troppi uomini sfoceranno in tumulti che insieme ai muri distruggeranno la brutalità dei portatori sani d’indifferenza e delle loro guardie.

 

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