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Scritto da nel Numero 150 - 1 Aprile 2018, Scienza | 0 commenti

Il pesce nell’uovo di Pasqua

Il pesce nell’uovo di Pasqua

L’accostamento culinario del titolo è quanto di più stridente si possa immaginare fra i fornelli ma in realtà questi ingredienti qui sono funzionali esclusivamente a rimarcare la coincidenza del calendario in questo scorcio di fine inverno 2018: la santa Pasqua cade infatti il giorno in cui si organizzano scherzi e goliardate all’insegna del pesce di aprile.

E se il buon Gesù approfittando dell’occasione stesse meditando di farci uno sgambetto colossale e non risorgere? Speriamo proprio ciò non accada perché di una parola buona, di conforto per i popoli, c’è bisogno più che mai. Sicuramente chi farà fatica a risorgere è la sinistra in genere e il Partito democratico del profeta Renzi in particolare, che pure ha al suo interno una fetta assai vasta della dirigenza e forse pure della base che è convinta di riavere a sé il maltolto elettorale, quasi come se quella dei suoi simpatizzanti di un tempo fosse solo una “fuitella” momentanea verso altri amorazzi. In realtà se il Pd si spaccasse ulteriormente fra ala centrista e ala socialdemocratica oppure se al suo interno prevalesse definitivamente la prima, magari con il ritorno in auge dei renziani, rinvigoriti dall’apporto di quel che resta dei partiti moderati e dei transfughi da Forza Italia e persino dall’area Maroni-Zaia, questa prospettiva di renaissance potrebbe pure avere un successo dopo la sbornia grillina, in particolar modo per la storica volatilità del voto meridionale che peraltro negli anni ha influenzato anche i comportamenti di voto delle regioni del centro-nord.

Ma uno scenario simile di restaurazione significherebbe, oltre che una capacità di rinculo all’avanzata grillo-leghista che al momento non è facile da scorgere fra le armate allo sbando di Pd e Fi, una trasformazione definitiva di quel che resta del partito della sinistra italiana. Un essere così tanto “altro” rispetto alla sinistra da far impallidire il riformismo craxiano o le derive liberiste di Tony Blair. Quindi se ciò accadesse sarebbe una resurrezione del Pd e non della sinistra.

Come detto in altre occasioni, questa parte politica è nettamente in minoranza anche nelle altre nazioni europee ma in quelle più avanzate è comunque viva e risponde presente sia nel dibattito politico, che nelle piazze, che alle urne. In Italia, come nelle nazioni minori dell’est Europa, è nettamente in minoranza ma è pure morta o quanto meno è in uno stato catatonico, una sorta di coma vigile con sporadici e brevi risvegli.

Molti commentatori, sociologi, analisti dei flussi elettorali e soprattutto politici di sinistra ritengono che all’ultima tornata elettorale del 4 marzo la base abbia voltato le spalle ai suoi riferimenti storici ed abbia abbracciato Movimento 5 stelle e Lega perché delusa dalla politica contingente dei governi in carica. In parte ciò è vero, in specie si è pagato dazio per la prima fase del riformismo renziano, essenzialmente concretizzatasi con job act e riforma della scuola. Ma basta ciò per immaginare che gli eredi elettorali della gloriosa storia comunista e socialista italiana finiscano per affidarsi ad un non partito che destruttura la dicotomia destra-sinistra e a un ex blocco autonomista che propugna ricette di destra che un tempo si sarebbe detta estrema? Credo che la crisi sia invece strutturale e che spezzoni di società, diversi fra loro ma che tutti insieme si riconoscevano nei valori della sinistra e ne erano anche orgogliosi, oggi vadano, in ordine sparso e per motivi diversi, a rimpinguare il bacino di consenso per un verso delle destre, borghesi e di massa, e per altro verso dei movimenti venati di un mix fra demagogia e visione pragmatica del qui ed ora.

Tenere a mente la scomposizione geografica e di conseguenza economica del voto è sempre utile; da tale analisi viene a rafforzarsi la convinzione ad una sparizione strutturale della sinistra. Partendo dal presupposto che essa nei settanta e più anni di storia repubblicana non è mai stata maggioranza in Italia, se non a Torino e cintura, a Genova e Liguria di levante e in un area del centro che va dal Po ai fiumi Ombrone in Toscana e Chienti nelle Marche, vedere oggi come il cosiddetto zoccolo duro si sia ridotto a qualche sparuta rappresentanza territoriale fra Emilia e Toscana è al contempo tastare con mano la realtà ma anche comprendere che questa idea di progresso e benessere diffuso ha bisogno di essere ricostruita dalle ceneri nelle coscienze degli italiani. Ma i tempi di tale risorgimento non saranno brevi. Chi si aspetta che alle prossime consultazioni elettorali, fossero anche quelle politiche nel caso in cui non riescano a tessersi trame solide fra Salvini e Di Maio, l’elettorato che da sinistra ha premiato i 5 stelle e la Lega torni naturalmente sui suoi passi si illude. Se gli italiani avessero voluto nell’ultimo menù elettorale esistevano già varie opzioni per dare continuità al proprio radicamento a sinistra ma evidentemente quello che è venuto meno è proprio il radicamento delle idee. I ceti esclusi del sud Italia hanno votato, talora con percentuali bulgare, il movimento di Di Maio e Grillo ma proprio in quanto hanno fatto promesse assistenzialiste e vagamente antisistema senza però avere il marchio della sinistra. Le ex enclavi rosse del nord Italia, quelle che gravitavano nelle cinture industriali delle metropoli, hanno confermato o abbracciato il voto leghista proprio perché vedono come fumo negli occhi l’internazionalismo della sinistra e la solidarietà ai migranti che tale ideologia naturalmente esprime. Ed infine la fuga verso la destra più ancora che verso i 5 stelle che si è registrata nelle ex regioni rosse, con i picchi del 20-25% nelle province di Parma, Ferrara, Lucca, Arezzo, Grosseto, Perugia, ecc. stanno a significare che quella tradizione antica, figlia della Resistenza partigiana, sta andando a sfumare fra paura dei migranti, benessere da voler preservare e cultura del self made man o in altri termini del “io speriamo che me la cavo”. A tutto ciò deve aggiungersi la memoria corta e la lungimiranza scarsa che in modo complementare hanno pervaso le teste degli italiani grazie al “tabula rasa” culturale indotto da elites e media, negli anni della tigre e dello scialo, da me inteso non nel senso comune del boom della spesa pubblica ma nel senso del lavora-accumula-spendi degli anni novanta che a un certo punto ha perso il terzo verbo della formula magica.

Se dunque non si modificano alcuni fondamentali trend di opinione, se non si riparte con l’indottrinamento anticapitalista, il quale va oltre e di lato rispetto all’antieuropeismo, se non si riescono a svelare le mille contraddizioni che partiti come la Lega o i 5 stelle esprimono nel loro presunto essere dalla parte dei deboli e delle grandi masse, dissonanze peraltro di facile identificazione che solo la incapacità della sinistra di parlare alla gente non è in grado di far emergere, per la sinistra non c’è una Pasqua di resurrezione immediata, a meno che non si verifichino traumi ad oggi non ipotizzabili. Il barlume di speranza che la sinistra deve conservare, aldilà delle autocritiche che dovranno velocemente farla rientrare nell’alveo del rovesciamento del sistema economico imperante, sta nella scarso spessore dei suoi competitors e nella consistenza dell’area del non voto che onestamente si è assottigliata alle ultime elezioni ma che rappresenta comunque un quarto degli italiani e la cui sostanza politica, come ovvio, non è dato sapere.

L’astensione più o meno massiccia è un fattore fisiologico nella storia elettorale di tutte le nazioni ma nessuna ricerca può con certezza assoluta identificarne la composizione, la quale storicamente è sempre mutevole. Bene, potrebbe anche essere che oggi, specialmente in Italia, tanti di quelli che non credono più alla politica come grimaldello per trasformare in senso egualitario la società e a cui però non piace questo modello liberista e di ritorno allo sfruttamento di sapore medievale siano pronti un domani a riabbracciare un partito che dica cose di sinistra vera. Potrebbe essere che le generazioni di italiani figlie del dopoguerra si siano ormai esaurite in una propensione a sinistra e che si debba aspettare nuove generazioni di giovani e di migranti ma certo non saranno i rovesciamenti di fronte repentini che taluni auspicano. Anche quando nel cuore degli italiani la Dc fu rimpiazzata da Berlusconi si immaginava a sinistra una deriva momentanea; sono serviti trent’anni per liberarci dal berlusconismo, e peraltro non ancora dai suoi esponenti. Forse non ce ne vorranno così tanti per liberarci dai vincitori attuali ma sia Lega per un verso, sia i grillini ormai democristiani per altro verso, non saranno meteore, a meno che qualche entità non piloti il Pd verso una definitiva trasformazione o ricomposizione che lo faccia assurgere a partito liberale di centro. In tutti questi scenari la sinistra starebbe alla porta e come tale occorre che si convinca che fuori dalla casa l’occupazione più intelligente è quella di mettersi a zappare la terra e seminare per il futuro.

Ma risorgerà anche la Primavera? Dentro l’uovo che sorpresa meteorologica ci sarà? E’ ormai acclarato che dopo gli ennesimi annunci di sfuriate invernali le festività trascorreranno al caldo e con un tempo in prevalenza poco nuvoloso. Un nuovo guasto di matrice atlantica e dunque non all’insegna del freddo marzolino ci sarà a metà settimana ma seppur zoppicante potremo finalmente dire che siamo entrati nella stagione del risveglio della natura. Certo quest’anno l’anomalia è stata aver avuto i mesi di febbraio e marzo freddi e in alcune zone nevosi come non si verificava da tempo. In realtà un’annata così sta più nella media di quelle in cui sbocciano i mandorli a gennaio o le margherite nei prati di montagna a febbraio.

La pompa magna con cui i siti meteorologici hanno annunciato le varie ondate di freddo rimane per me questione misteriosa. L’azzardo di prevedere con più di dieci giorni di anticipo la ripassata artica di metà marzo è andato a buon fine. In altre occasioni si è fatto un allarmismo eccessivo sul Burian bis da una parte ma anche una polemica sterile dall’altra circa il mezzo flop di quella previsione. Riassumendo possiamo dire che è stato un inverno connotato da freddo e instabilità, quanto meno dalla Befana in poi, e da robuste nevicate laddove è più facile che nevichi, ossia su monti e colline. Non vi sono stati cataclismi nevosi nelle pianure e nelle città: da un lato è comparsa la neve a Roma e Napoli, dall’altro città come Milano e Verona l’hanno solo intravista una nevicata seria. Passando a quello che sarà, l’evoluzione che i modelli ci propongono per la prima metà del mese di aprile è all’insegna della variabilità di stampo atlantico. Veloci perturbazioni da ovest si spingerebbero sul Mediterraneo, senza invorticarsi, scaricando dunque piogge anche abbondanti ma che non stazionano a lungo sulle stesse zone. Un tempo un po’ british che permetterà belle passeggiate all’aria aperta purchè ci si munisca di un robusto ombrello, altrimenti il rischio è quello di una doccia fredda e di venir spazzati via, un po’ come se fossimo esponenti della sinistra.

 

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