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Scritto da nel Numero 157 - Inverno 2019, Scienza | 0 commenti

Nuovi protagonisti

Nuovi protagonisti

 

Il 1969 con lo sbarco sulla Luna di Armstrong e Aldrin, fu l’ anno che sancì la supremazia americana nell’ esplorazione spaziale. Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti e altri attori si sono affacciati sulla scena cosmica, dopo USA e Urss, i due storici di quel periodo. L’ anno del cinquantennale dell’ Apollo 11 si è aperto all’ insegna del sol levante.

Cina e Giappone si sono resi protagonisti di due imprese pionieristiche nell’ esplorazione spaziale.

La prima è stata realizzata dalla sonda cinese Chang’e-4, che ai primi di gennaio è atterrata con successo sul lato nascosto della Luna. Una missione complessa, sia per il luogo dell’ allunaggio che per le condizioni ambientali che deve affrontare il rover.

The dark side of the Moon era stato fotografato da una sonda sovietica nel lontano 1959 e si era rivelato da subito piuttosto accidentato rispetto all’ emisfero visibile. Un’ altra insidia per Chang’e-4 sono le temperature di quella parte del nostro satellite. Durante la notte lunare si raggiungono i 170 gradi sottozero, una ghiacciaia che di giorno diventa un forno, sfiorando i  130 gradi. Il risultato è  escursione termica pazzesca.

Un ambiente ostile, ma che presenta comunque dei vantaggi. Come l’ assenza di interferenze che permetterà al rover di fare analisi radioastronomiche a bassa frequenza molto più precise.

Gli ostacoli non hanno scoraggiato gli scienziati cinesi, i quali sembrano anzi averci preso gusto. Per il 2020 è in programma il lancio di un altro lander lunare, Chang’e-5, che raccoglierà campioni da riportare a Terra. Un’ operazione simile a quella cui è attualmente intenta Hayabusa 2, la sonda giapponese scesa sull’ asteroide Ryugu.

Giunto sul corpo celeste dopo tre anni di viaggio e 340 milioni di chilometri percorsi, il lander nipponico ha iniziato a fare il suo lavoro sparando sulla superficie dell’ asteroide un piccolo proiettile metallico del peso di cinque grammi. Operazione che verrà ripetuta altre due volte. La polvere e i detriti sollevati dall’ impatto vengono aspirati tramite un tubo flessibile, tipo aspirapolvere, e stivati, all’ interno della sonda, in un piccolo contenitore del volume di 25 centimetri cubi, nel quale verranno conservati fino al ritorno sulla Terra, previsto per il 2020.

L’ interesse degli scienziati per Ryugu nasce dall’ ipotesi che su questo remoto macigno spaziale, ha un diametro di 900 metri, si siano conservati composti organici e acqua risalenti alla formazione del sistema solare. Come lui, le migliaia di asteroidi disseminati fra Marte e Giove sembrano essere i più antichi testimoni di quello che accadde quasi cinque miliardi di anni fa, quando iniziarono  formarsi i pianeti intorno a un giovane Sole.

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