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Scritto da nel Numero 113 - 1 Ottobre 2014, Scienza | 0 commenti

Co-abitare e co-coltivare

Co-abitare e co-coltivare

Un terzo co- nel titolo, per passare dall’orrido mondo dei co-co-co a questo fascinoso progetto di vita, di cui vorrei parlare, mettetecelo voi a piacere alla fine della lettura. A seconda dei gusti personali potrebbe spaziare da co-consumare a co-amoreggiare, etc. etc. A mio avviso l’idea di mettere in comune “verbi” essenziali della propria esistenza va analizzata su due piani leggermente diversi: sul primo vi è la necessaria risposta costruttiva alla crisi economica e alle finalità disgreganti di chi tale crisi “governa” e modella; sul secondo la propensione antropologica dell’essere umano avanzato, troppo spesso mascherata dalla competitività, di un ritorno ad armonie di vita più naturali e più integrate.

Percorrendo il binario dell’ottica “economicista”, è assolutamente ovvio che in una società che in larga parte si ritrova con le pezze al culo, specie per quanto concerne le generazioni più giovani, occorra trovare accorgimenti che permettano di traguardare quelle cose minimali che nella seconda metà del secolo scorso erano ormai scontate in senso positivo. Lavorare, avere un tetto sotto cui ripararsi, godere dell’assistenza minimale in caso di bisogno. Cose che rischiano di essere spazzate via definitivamente dal mix “rigore nei bilanci – compressione della ricchezza e dei diritti” che si abbatte con furia cieca in particolare nel continente più progressista, ossia la vecchia Europa.

Se appunto un tempo tali esigenze di fondo venivano percorse e raggiunte individualmente o in una dimensione al più familiare e se forse proprio l’esasperazione di tali percorsi ha contribuito a innescare taluni effetti perniciosi della crescita capitalistica, oggi è inevitabile immaginarsi di conseguirli non più da soli ma collettivamente. Anche solo per una pura e semplice ragione di rapporti di forza e di convenienza: da soli si rischia di andare alla deriva ed il naufragio potrebbe produrre disperazione, guerre, scenari da basso Medioevo, già in piena virulenza in tante altre aree del mondo meno fortunate e forti.

Il cohousing, che pure è fenomeno ormai abbastanza diffuso in alcune nazioni, dovrebbe essere spiegato e rappresentato al meglio per dare una diversa opportunità in primis ai cittadini e in qualche misura anche alle istituzioni locali. Esso significa possibilità di realizzare un equilibrio fra autonomia abitativa e condivisione di spazi comuni. Le famiglie, le coppie ed i singles che volessero creare o partecipare ad un cohousing potrebbero continuare a perseguire un modello di vita in cui si ha la proprietà di uno spazio abitativo proprio ed uso solo privato ma lo farebbero all’interno di un contesto in cui molti spazi della “casa comune” sarebbero di tutti e fruibili da tutti i membri. Le forme ipotizzabili sono svariate e flessibili a seconda delle inclinazioni dei soggetti protagonisti ma tanto per fare degli esempi si può realizzare tale co-abitazione in una dimensione limitata a 5-6 appartamenti privati che avessero però una enorme sala di proprietà collettiva, ove vivere ed agire in comunità, così come un cortile e magari dei terreni coltivabili appunto, dove esperire l’altro co-, quello della co-coltivazione. Ma il discorso potrebbe allargarsi ad una sorta di multi-condominio, concettualmente nuovo, ove ben più grandi e fertili sarebbero anche gli spazi comuni. Ed è soprattutto quest’ultimo il modello vincente: 15-30 unità abitative che si saldano insieme. Comunità progettate da singoli cittadini che se si sviluppassero come modello potrebbero modificare anche i piani urbanistici e i criteri di edificazione, flettendoli in quest’ottica.

Questa rivoluzione, prima ancora culturale che di comportamento, avrebbe benefici sul piano economico che deriverebbero dall’economia di scala che l’unione di vari nuclei familiari permetterebbe (ecco perché pur rimanendo sul medesimo piano concettuale si può parlare di cohousing solo per i contesti da almeno 10 unità). Oltre che dal cogente avere a disposizione per ciascun individuo degli spazi che privatamente mai potrebbe possedere. Inoltre si potrebbe ivi realizzare una banca ore che permetta la costruzione di una capillare rete sociale e solidale, in cui ci si scambiano professionalità e servizi, in cui troverebbe spazio la creazione di uno spazio autogestito per gli anziani e/o di un micro asilo-nido e/o di un laboratorio artigianale, in cui si consumerebbe tramite gruppi di acquisto, in cui si userebbe il car-pooling o persino veicoli di proprietà comune, in cui si farebbe cultura insieme mettendola a disposizione di tutti. Altri forti risparmi si ricaverebbero dalla messa in comune di ulteriori beni di proprietà: ad esempio gli attrezzi e le macchine agricole, la rete internet, gli impianti di potabilizzazione ed irrigazione per i terreni. Ed ancora la co-coltivazione ma anche il co-allevamento permettono di superare in parte alcuni vincoli che conoscono bene tutti i contadini, in primis l’impossibilità di abbandonare saltuariamente il presidio. Una collettività “turnista” che si occupi di produrre cibo e di crescere animali per tutti gli appartenenti al cohousing e capace eventualmente, proprio grazie ad una rete di conoscenze ampia, di “piazzare” l’eccedenza è un’altra diversificazione fondamentale rispetto all’iniziativa imprenditoriale individuale.

Insomma seppure in estrema sintesi già si sono profilati i principali vantaggi economici del vivere in co-housing. Ma quelli mentali non sono certo meno importanti, anzi forse sono proprio questi a doverci indirizzare verso questo modello. Nessuno rimane solo. Lo spirito collaborativo per aiutare la tasca ha senso solo se accompagnato dal desiderio di tornare ad amare il prossimo, stare bene con gli altri, mettere le proprie esperienze in comune, slegarsi da rigidità gerarchiche, da ruoli e convenzioni, da falsi miti di successo, tutte cose per le quali una fetta cospicua della popolazione mondiale sta avendo un gradevole rigurgito. Qualcuno comincia a capirlo che la sola ancora di salvezza è il ritorno alla condivisione e alla fratellanza. Il progetto cohousing, il mantenere in una sfera di privacy solo quanto vogliamo che accada dentro le mura domestiche, rendendoci migliori anche forse all’interno delle stesse, sono mezzi per conseguire tali desideri.

Non è la comune, anche perché non necessariamente questa rivoluzione debba prevederne anche una di costume, così ampia da far pensare all’intercambiabilità anche all’interno delle diverse unità abitative. Il cohousing rimane nell’alveo dei rapporti consolidati e strutturati e solo accidentalmente può divenire altro. Ma per tutto il resto, per ciò che in qualche misura fa “comunismo” ci si avvicina molto.

La consueta rubrica meteo a tal punto non può che caratterizzarsi in senso collettivo. Del resto in un contesto territoriale ristretto non c’è nulla di più eguale del clima, se non per sporadiche eccezioni come quando grandina sul nostro orto e non su quello del vicino a 200 metri di distanza.

Settembre, seppure in particolare nella seconda metà del mese e con qualche diffusa perturbabilità pomeridiana, ci ha regalato scampoli di un’estate mai convincente nei mesi precedenti, escluso agosto per parte del Mezzogiorno. Ottobre pare voglia continuare su questa falsa riga ricacciando in gola le esultanze di coloro che ad ogni incipit stagionale vogliono e “intravedono” bruschi passaggi climatici. L’anticiclone africano che ha riportato i 25-30 gradi un po’ ovunque in Italia sarà colpito da una perturbazione che già ha invaso il Nord-Ovest e che scivolando sul Tirreno dovrebbe portare piogge specie su tali versanti per i primissimi giorni del mese. Ma non si tratta di un affondo in grado di spezzarne l’egemonia. Il tempo stabile e caldo riprenderà la scena già dal primo fine settimana e l’anticiclone dovrebbe continuare a proteggere le nostre regioni, con qualche eccezione per le alpine e prealpine, in attesa di vedere come finirà il braccio di ferro fra Vortice freddo islandese ed Alta pressione russa (fredda anch’essa a quelle latitudini ma capace di garantire tempo stabile su tutta l’area carpatico-danubiana e sui Balcani. Quest’ultimo si terrà stretto all’elevazione dell’anticiclone africano verso nord rendendo il Mediterraneo impenetrabile alle perturbazioni da Ovest. Vero però che una certa lacuna barica, ossia di valori pressori né bassi né alti sembra possa instaurarsi fra coste orientali iberiche ed alto Tirreno e questa qualche piccolo disturbo potrà crearlo. Così come l’avanzare della stagione e le temperature notturne più basse porteranno più spesso a giornate meno limpide ed alle prime nebbie e foschie particolarmente in pianura padana e nelle valli. Almeno fino a metà mese il quadro non muterà e dunque lo scivolamento verso la stagione fredda avverrà in modalità assai morbide, fra sole, qualche nube e un po’ di foschia. Nelle co-housing il riscaldamento comune potrà venire acceso quindi un po’ più in là della fatidica data del 15 ottobre e le colture di cavoli, radicchio, broccoli, spinaci e ravanelli possono svilupparsi alla grande; almeno questo è quanto ci dicono gli strumenti dell’osservatorio meteorologico di proprietà collettiva allestito in cortile.

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