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Scritto da nel Numero 119 - 1 Maggio 2015, Politica | 0 commenti

Amaro Italicum

Amaro Italicum

Il presupposto che alla diffusa maggioranza degli italiani non importerebbe un fico secco della legge elettorale perché a tavola, verso fine mese, le famiglie non litigherebbero se spartirsi le pietanze secondo sistemi maggioritari, proporzionali o a doppia portata, in quanto semplicemente non vi sarebbero più le pietanze, è secondo me fuorviante. Vero che i temi cruciali per la popolazione sono quelli del lavoro, della sanità, della scuola, dell’economia domestica, ma ciò non è sufficiente a permetterci di ignorare come si articolerà in futuro il canale della rappresentanza parlamentare. Perché le sorti di ciascuno di noi e di tutto il paese sono sempre dipese anche dalla politica istituzionale oltre che da quella economica. Proviamo quindi in estrema sintesi a ripercorrere la storia del sistema elettorale italico e a capire cosa c’è dentro la proposta di governo di riforma elettorale, cosa si nasconde sotto il patriottico nomignolo Italicum.

Storicamente, dalla legge elettorale del 1946 in poi e per oltre un cinquantennio, è risultato predominante il sistema proporzionale, e nella cosiddetta Prima Repubblica il solo tentativo di introdurre un premio di maggioranza fu fatto da Alcide De Gasperi nel 1953, con la famosa “legge truffa”, che fu ferocemente combattuta da tutte le opposizioni al potere democristiano. Peraltro essa è stata anche l’unica, prima della attuale in discussione, ad aver previsto il passaggio dell’apposizione della fiducia al voto in aula.

Solo con la abrogazione del sistema elettorale per il Senato nel 1993, si concreta la svolta in senso maggioritario, antiproporzionale, che sfocierà nel Mattarellum, ossia una legge elettorale che prese il nome del suo relatore, oggi Presidente della Repubblica. Legge che sanciva un sistema elettorale misto: maggioritario a turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi parlamentari e recupero proporzionale per il rimanente 25% dei seggi, con introduzione della soglia di sbarramento del 4% alla Camera. Questo sistema elettorale rimase in vigore sino al 2005 quando venne sostituito da una nuova legge, ideata dal ministro leghista Roberto Calderoli e battezzata volgarmente Porcellum, cassata poi dalla Corte costituzionale. Le caratteristiche della legge erano le liste bloccate, ossia l’impossibilità di esprimere preferenze, il premio di maggioranza (alla coalizione però non al singolo partito), una soglia di sbarramento assai elevata e la necessità di accordi programmatici, espliciti e preventivi, fra i partiti.

Oggi la proposta vede un meccanismo di impronta maggioritaria ancor più netta, ossia il partito più votato, al primo turno se acquisisce più del 40% dei voti, oppure al secondo turno se la spunta fra i due più votati, verrà premiato con il 55% dei seggi, ovvero 340 deputati. E’ il cosiddetto premio di maggioranza che dovrebbe assicurare stabilità e governabilità. E che va a beneficiare appunto una sola formazione partitica.

La riforma dovrebbe valere per la sola Camera, in quanto nel frattempo se si approverà la riforma del Senato quest’ultimo non sarà più organo elettivo. I 290 seggi che rimangono a disposizione dell’opposizione verranno spartiti fra gli altri partiti che siano riusciti a superare la soglia di sbarramento del 3% dei voti. Non essendo più previste le coalizioni, ma solo le liste, non c’è differenza tra partiti coalizzati o meno. Dunque per le formazioni minori occorre contare esclusivamente sulle proprie forze per essere rappresentati.

Il territorio nazionale sarà diviso in 100 collegi elettorali ma i capolista di ogni partito potranno presentarsi in più di un collegio, fino a un massimo di dieci. Ciò per evitare che questi rischino la bocciatura. Inoltre per ciascun collegio, i capolista saranno decisi dalle segreterie di partito. E dunque il sistema delle preferenze a disposizione degli elettori si riduce solo agli ulteriori candidati.

Dall’esame dei punti chiave della riforma renziana, che avrebbe ovviamente bisogno di più spazio per una analisi esauriente, emerge una spinta ad un decisionismo governativo quasi senza contrappesi. Non essendovi più il doppio vaglio delle leggi previsto nel bicameralismo perfetto, con la trasformazione dell’altra camera in un Senato degli enti locali, non avendo mai avuto un effettivo potere di intervento il capo dello Stato, se non quando interpreta il ruolo in versione debordante dal punto di vista costituzionale, andando in direzione di un ridimensionamento del potere giudiziario, una simile riforma consegna il potere in mano all’Esecutivo come mai prima nella storia politica repubblicana, in quanto esso non troverà più nel potere legislativo un ostacolo alla propria iniziativa, giacchè la Camera sarà blindata da fedelissimi del premier/capo del partito vittorioso (anche se non è equazione obbligatoria).

In ordine sparso vediamo, oltre a questo dato di fondo, cos’altro rende amaro il sapore di tale riforma: meno partecipazione politica degli elettori che non esprimono più una delle 2 camere (nominate/elette dalla casta politica locale) e che non possono con le preferenze residue eliminare i “mammasantissima” da Montecitorio.

Necessità per uno schieramento politico di prendere almeno il 3% dei voti da solo e dunque a friggersi le istanze pur importanti che, per fare il classico esempio del divorzio e dell’aborto, nel secolo scorso sono state portate avanti dal Partito radicale con il misero 1-2% di suffragi che riusciva a raccogliere nelle elezioni.

Scarsissima valenza rappresentativa della popolazione se si pensa che, in una fase storica improntata ad un forte astensionismo, potrebbe accadere che il 55% dei seggi vada appannaggio di un partito che magari ha preso al 1° turno il 40.1% dei voti validi che, al netto dell’astensione, potrebbero valere in termini reali circa la metà e quindi “rappresentare” un 20-22% del totale degli italiani adulti (stiamo parlando di 8-9 milioni di persone). Ma, spingendoci alla casistica più probabile, perché gli exploit del 40% sono assai rari, potrebbe accadere che il premio di maggioranza vada al partito che al 2° turno l’ha spuntata, partendo da un bottino iniziale magari del solo 25% al 1° turno. In tal caso il partito in questione avrebbe racimolato non più di 6 milioni di voti che presumibilmente aumenterebbero di appena qualche centinaia di migliaia al 2° turno, considerando che senza gli apparentamenti l’elettorato attivo che ritorna alle urne potrebbe oscillare a cavallo del 30%, a meno di situazioni emergenziali in cui si andasse a votare più contro l’altro partito/candidato “impresentabile” che a favore del vincitore.

Non ultimo approvazione di una legge fondamentale, come quella elettorale, a colpi di fiducia e con una maggioranza quantitativamente risibile per un tema che dovrebbe, riguardando le regole del gioco, richiedere ampia convergenza.

Insomma ce n’è abbastanza per avere voglia di un po’ di fruttosio che addolcisca il palato. Ed a proposito di amarezze, virando sul consueto tema meteorologico, credo che siano molti coloro che, dopo le alterne fortune di aprile quando il clima prettamente primaverile ha insistito più durante la settimana che nei weekend, aspettano di associare al bel tempo un momento di pausa dal lavoro. Potrebbe accadere in parte per l’imminente ponte di inizio maggio. Sicuramente sarà così al centro-sud ma anche nelle altre regioni vi sarà un discreto soleggiamento, sebbene vi siano ancora infiltrazioni perturbate che dovrebbero sfociare in temporali sparsi ad evoluzione diurna, quelli che con il calore del pomeriggio vengono scaricati dalle nubi torreggianti presenti qua e là, specie sui rilievi alpini e appenninici; qualche fenomeno vi sarà anche nelle pianure, meno lungo le coste, salvo quelle della Liguria di Levante, dell’alta Toscana e delle Venezie.

Dal 4 poi un impianto altopressorio, all’insegna della stabilità, e di matrice africana, quindi anche piuttosto caldo, occuperà tutti i bacini mediterranei meridionali ed orientali e si spingerà sino a coprire l’intero stivale quanto meno sino alle pianure del nord. Il cattivo tempo sarà relegato Oltralpe, con solo qualche disturbo sulle zone alpine e prealpine, specie piemontesi, ma il gran caldo riguarderà soprattutto le isole maggiori (previsti sino a 35°), le coste del basso Tirreno e del medio-basso Adriatico, le pianure interne del centro-sud ma anche parte della pianura padana, in particolare fra Veneto, bassa Lombardia ed Emilia-Romagna.

Ondata di calore e di sole quasi estivo che durerà per quasi tutta la prima metà del mese anche se un paio di incursioni atlantiche intorno al 7-8 e poi al 11-12 ne metteranno a repentaglio la resistenza, a suon di temporali, anche molto forti stante lo scarto termico in quota. Una sventagliata instabile che potrebbe però non giungere fino alle regioni meridionali che vedrebbero dunque una prima parte di maggio come preambolo della stagione estiva. Non deve comunque meravigliare che questo mese parta con un’impennata estiva considerando che il sistema delle correnti e il quadro barico complessivo degli ultimi decenni, seppure sfumando un po’ di recente, ha visto ergersi spesso a protagonista l’anticiclone subsahariano più che quello delle Azzorre; e dunque il cuore caldo ed anche non particolarmente umido che questo trasla sulle nostre regioni, quando si spinge verso nord, non può che portarci dritti a bagno, in riva al mare.

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