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Scritto da nel Numero 128 - 1 Aprile 2016, Scienza | 0 commenti

La “Loi travail”

La “Loi travail”

L’etimologia di sciovinista ci rimanda al prode Nicolas Chauvin, soldato napoleonico fieramente patriottico. Sarebbe sufficiente per capire perché proprio ai francesi venga appiccicata così facilmente tale etichetta. Nel nostro specifico basta anche a spiegare perché nella nazione transalpina una riforma legislativa venga definita con il proprio patrimonio linguistico, e con estrema semplicità, Legge Lavoro e nell’ambigua e meno nazionalista Italia una similare riforma abbia necessità di prendere a prestito altri idiomi e venga a chiamarsi Job Act. Rimane comune il senso di disagio all’estremità inferiore della schiena, sia per i lavoratori italiani che per quelli francesi sottoposti a questi pacchetti di novità.

Il testo di legge francese è stato presentato poche settimane fa al Consiglio dei Ministri e dovrà conseguentemente affrontare tutto l’iter parlamentare, con presumibile votazione finale a luglio, percorso che da noi viene sovente scavalcato da decreti e mozioni di fiducia. Ciò significa che non siamo davanti a soluzioni definitive ma ad una bozza di riforma, anche perché nel paese è già montata una forte protesta da parte di alcuni sindacati e soprattutto di piazza, per il tramite di associazioni studentesche e giovanili. La storia recente ci insegna però che non ci si può fare troppe illusioni sulla resistenza ad una linea complessiva di impoverimento dei diritti e delle tutele dei lavoratori.

L’atto è a firma Myriam El Khomri, giovane ministro socialista del lavoro, di origini marocchine ma di estrazione prettamente borghese da subito osteggiata per la sua inesperienza, manco si trattasse di una Maria Elena qualsiasi. Esso complessivamente pone deroghe a molte delle norme iscritte nel Code du travail, considerato, un po’ come il nostro Statuto del 1970, troppo rigido e datato. Scendendo nel dettaglio vediamo quali sono le principali novità ventilate.

a) Aumento della soglia massima di ore lavorate al giorno e alla settimana, la quale passa rispettivamente da 10 a 12 ore e da 48 a 60 ore. Sia per l’aumento quotidiano che per quello settimanale necessita la sussistenza di circostanze eccezionali di natura organizzativa dell’impresa e occorre comunque un accordo collettivo per l’aumento a 12 ore ed una previa autorizzazione da parte del corrispettivo del nostro Ispettorato del Lavoro per l’aumento a 60 ore.

b) Passaggio dal cosiddetto “accord defensiv” per le situazioni di crisi aziendale ad un “accord offensiv”; ossia se prima la normativa permetteva modifiche in peggio di orario e salari allorquando un’azienda vivesse un momento di difficoltà produttiva, oggi si concederebbe la possibilità di apportare restrizioni o comunque variazioni anche in caso di una fase di sviluppo dell’azienda che avesse necessità di conquistare nuovi mercati e siglare nuovi contratti. Ed in caso di rifiuto del singolo salariato si avanza l’idea di un “licenziamento per motivi personali”.

c) Possibilità per le imprese con meno di 50 dipendenti di chiedere ai salariati, senza accordo collettivo, di passare ad un regime orario forfettario, proprio dei livelli di inquadramento alti, derogando quindi alla regola delle 35 ore settimanali.

d) Riforma della disciplina dei referendum sindacali che potranno essere indetti anche da organismi con rappresentanza in azienda inferiore al 30% e che valideranno gli accordi anche con solo il 50% + 1 dei voti espressi.

e) Introduzione della possibilità per un accordo collettivo aziendale di maggiorare le ore di straordinario del solo 10% (a fronte dei normali 25% per le prime 8 ore e 50% per le successive) anche se sussiste a livello di contrattazione di comparto o categoria un divieto generale.

f) Concessione della definizione di stato di crisi aziendale e conseguentemente della possibilità di licenziamento collettivo all’emergere di una diminuzione del giro di affari per più trimestri consecutivi. L’applicazione di simili cogenti criteri restringe il margine di interpretazione dei tribunali circa la riduzione del personale per motivi economici.

g) Riduzione degli indennizzi per i licenziati senza giusta causa, in quanto se finora l’organismo giurisdizionale apposito poteva stabilire cifre prive di montanti massimi, il progetto di legge fisserebbe questi tetti in funzione dell’anzianità di servizio.

h) Generalizzazione a tutto il territorio francese della “garanzia per i giovani”, istituto attivo già in molti dipartimenti che concede un reddito minimo a chi è in età compresa fra i 18 e i 25 anni, vive da solo ed è in cerca di lavoro.

i) Precisazioni dispositive circa il contenuto del futuro “compte personnel d’activitè” che dovrebbe entrare in vigore dal 2017 e che si concreta in una sorta di curriculum lavorativo del dipendente sempre a sua disposizione in caso di passaggi d’impiego o di residenza.

L’insieme di tali novità (ad eccezione forse delle ultime due) ci permette di cogliere la portata e la direzione della Loi Travail. E’ un’altra faccia del nostro Job Act e più in genere è l’ennesimo tentativo di tradurre su carta ciò che implicitamente il sistema politico-economico mondiale porta avanti da almeno una ventina di anni: l’abbattimento della protezione del lavoro e la devozione ai santi numi del mercato e del profitto. Ciò ad inserirsi in uno smantellamento complessivo dei sistemi di welfare e in una artificiosa produzione di guerra fra poveri, fra occidentali retrocessi e disperati terzomondisti che si siedono al nostro tavolo.

Immaginare di combattere la crisi economica con questo armamentario è vergognoso e probabilmente controproducente nel medio e lungo periodo. Ridurre i diritti dei lavoratori e dunque la dignità delle persone nonché il loro potere di acquisto, aumentare le ore di lavoro degli occupati, a dispetto della saturazione produttiva e della disoccupazione dilagante, disgregare il ruolo dei sindacati e dunque di una delle, per quanto spesso stagnanti, più efficaci reti di solidarietà della società, rendere precario ciò che non lo è, anziché dare stabilità a chi vive costantemente nella precarietà, affinare il messaggio che il lavoro non è un diritto ma una opportunità concessa da qualche dominus, tutto ciò che quindi deriva da progetti di legge come questo, che pure verrà spacciato come la naturale, inevitabile, malleabilità della norma alla modernità e al nuovo contesto economico, avrà un effetto ancor più disastroso delle politiche di austerità dei bilanci, in quanto farà ripiombare la massa dei cittadini e lavoratori non solo in una condizione di ristrettezze economiche ma anche in una condizione di servitù psicologica, nelle condizioni in definitiva in cui si versava nei secoli passati.

Ci sono voluti anni di lotte per affrancarsi dal classismo feudale e molta pazienza politico-sindacale per permettere a quasi metà della popolazione mondiale di vivere con dignità la propria esistenza, per essere tutelati da codici del lavoro e proiettati verso un orizzonte in cui lo stesso divenisse sempre più, per un verso raggiungimento delle proprie gratificazioni e per l’altro ambito parziale della vita, a favore di una espansione del proprio tempo libero e delle relazioni sociali. Il rischio imminente che si corre è il capovolgimento totale del percorso compiuto. Non sarà una partita facile sovvertire tale obiettivo ma almeno non facciamoci fottere dal verbo di chi chiama questi arretramenti epocali “riforme” per la nuova società mondiale.

Costoro con l’ausilio delle leve dei governi sanno che un beneficio immediato ci sarà per loro e per quel dieci per cento di elites mondiali, di lobbies economico-finanziarie, di politici serventi, che da questo cambiamento ci guadagneranno ulteriori ricchezze; e pazienza se qualche onesto imprenditore salterà anche grazie all’impossibilità per i suoi dipendenti di acquistare le merci che vorrebbe vendere. Vedremo se dalla culla della rivoluzione verrà qualche segnale di opposizione riuscita allo spartito dominante della dottrina liberista e, nel più onesto dei casi, alla miopia legislativa dei mediocri governanti di inizio secolo, che siano di destra o di cosiddetta sinistra.

A proposito di Francia, piove sul bagnato a dare retta alle previsione dei modelli matematici odierni, i quali per la prima metà di aprile sembrano mettere proprio quella parte di Europa, a cavallo del Canale della Manica, al centro di una fastidiosa, ristagnante zona di bassa pressione, foriera di precipitazioni. Per quanto concerne l’Italia buona parte di essa parrebbe al riparo da perturbazioni serie ed anzi sino ai giorni 6-7 assaggerà uno scampolo estivo, con temperature davvero alte per il periodo, specie al centro-sud. Il nord avrà sole e foschie e qualche passaggio nuvoloso in più ma in un contesto complessivo di bel tempo, forse un primo affondo perturbato lambirà le regioni più occidentali, ossia Piemonte e Sardegna e successivamente traslerà su tutto il meridione, specie aree tirreniche. Prima del secondo fine settimana un nuovo nocciolo perturbato con grosso modo la medesima traiettoria potrà portare piogge più convinte sui versanti occidentali e settentrionali, lasciando al margine, in un prolungato contesto di primavera inoltrata le regioni che vanno dalle Marche alla Sicilia. Le temperature in tutta la prima decina del mese si manterranno anche nelle giornate e/o nelle zone uggiose su valori medi o superiori alla medi

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