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Scritto da nel Il Libro del Viaggiatore, Numero 153 - 1 Luglio 2018 | 0 commenti

Pastorini: “Racconto il declino per scuotere la coscienza umana”

Pastorini: “Racconto il declino per scuotere la coscienza umana”

 

Antonio Pardo Pastorini è uno scrittore molisano alla seconda prova editoriale alla voce romanzi. Il suo “Un altro mondo è già passato” spazia nel genere fiction con dichiarata ambizione di sfuggire alle etichette o magari brevettarne una tutta nuova: la letteratura del declino.   

“La storia – racconta l’autore – si svolge in una Napoli futuristica, irriconoscibile per le atmosfere descritte e gli episodi che si avvicendano. Il visionario astrofisico, Julius, svela l’inganno del tempo e della materia in un vortice di situazioni e citazioni”

Pastorini racconta di un mondo in cui le coscienze evaporano, ma non quella del lettore che, seguendo le vicende di Julius, è portato alla riflessione profonda sulla vita com’è oggi, su quello che è di noi, uomini e donne, sempre più lontani dal metabolizzare il cambiamento in atto, quasi incapaci di fermare le cose in vorticoso movimento.

Pastorini è abile a interessare il lettore con reali accadimenti del passato. La cultura del vero spazia mentre l’intelligenza artificiale della fantascienza diventa capace di trascendere il bene e il male. Il romanzo emoziona, colpisce per la tenerezza di alcuni momenti, per il rapporto contrastato fra il lato interiore e la ragione che, inevitabilmente, non trova tutte le risposte. Il mondo, la vita, sono qualcosa di tremendamente più complicati. Il turbamento di Julius è quello di chi volge lo sguardo alla propria coscienza prima ancora che agli altri. “Pensi di essere quello che non sei: questo è il motivo d’ogni confusione ed ogni pena”.

Il romanzo è uscito a fine marzo ed è stato segnalato dalla giuria del Premio ‘Nabokov’ per l’elevata qualità letteraria e per il forte impatto emotivo. Ecco cosa ‘vede’ Pastorini nel ‘suo mondo già passato.

“Con questo lavoro propongo sorta di fusione tra il romanzo filosofico, psicologico e anti-utopico perché è centrale il pensiero e descrive un’ipotetica società, collocata in un futuro prossimo, nella quale alcune tendenze sociali, politiche e tecnologiche sono portate al loro limite estremo. Non è una narrazione consolatoria, né d’evasione. E neppure catastrofista. Ritengo appropriato definirla una letteratura scandalosa, in quanto potrebbe arrecare turbamento morale e sconvolgimento delle coscienze, per l’ambizione del pensiero di Julius, il protagonista centrale, di andare oltre le fedi, al di là delle divinità, più in alto del pensiero scientifico e oltre il comune senso della vita e della realtà.

Può accennare brevemente alla trama?

Il romanzo ha una struttura circolare. Inizia con un prologo, in un mondo simile al nostro, con tre lune aliene che rischiarano di luce ambrata l’imbrunire, mentre, nel folto d’un bosco, un cerbiatto azzurro assiste spaurito all’uccisione della mamma, preda d’un branco di lupi. Quello delle tre lune non è il mondo in declino di Julius, che, forse, è il nostro in un futuro prossimo. Il romanzo si conclude con un epilogo, che chiarirà quale sia l’insospettata coincidenza tra il mondo alieno e quello del protagonista. Nel racconto Julius entra in scena già vecchio, quando tutto è ormai vicino alla fine. Per difendersi dal genocidio, messo in atto da macchine con intelligenza artificiale, gli uomini fanno brillare diversi ordigni atomici, che scatenano una planetaria attività vulcanica e tellurica. A Napoli il Vesuvio esplode distruttivo, mentre si cerca scampo dalle macchine. Julius non scappa. Da tempo ha scoperto il significato dell’esistenza e sa che nulla potrà finire e che la morte, così come la vita, non è che un inganno della coscienza. Per questo aspetta sereno che tutto si compia ed assiste Petra, sua moglie, malata. Ma l’inatteso sopraggiungere di Desiderio, un bambino sfuggito alle macchine, che gli hanno catturato i genitori, smuove a pietà Julius. S’adopera per non farlo soffrire. Lo accudisce, lo ristora e lo illude di futuro, dissimulando l’imminenza della fine del tempo. Entrambi s’assopiscono. Julius ripercorre, nel dormiveglia, i momenti vissuti, che, come tasselli d’un mosaico, si compongono in una sequenza cronologica e consentono di capire in che modo si sia giunti fino a quello scenario apocalittico. Infine, quando le macchine fanno irruzione nella casa di Julius, in un drammatico crescendo la vita di tutti e il mondo intero sembrano svanire per sempre. Ma sarà davvero la fine? La risposta arriverà dall’epilogo.

Nella sua narrazione quale messaggio vuole trasmettere?

Si dice che un libro che pretenda di dare risposte non sia mai un buon libro. Nella mia storia si pongono soprattutto domande e, mi auguro, si suggestioni il lettore con visioni inattese e sorprendenti sull’essenza della materia, dello spazio, del tempo e sulla natura della coscienza umana. In fondo racconto il dissidio tra coscienza e conoscenza. Esistono? O sono entrambe un inganno? E di chi? Più che un messaggio la narrazione vuol fare emergere la consapevolezza che, forse, qualcosa di straordinario a breve accadrà. Qualcosa di epocale.

La sua è una visione ottimistica o pessimistica?

L’ottimismo e il pessimismo sono due categorie di giudizio sul corso degli eventi, che non mi appartengono. Mi ritengo più fatalista. Le cose accadono e non sappiamo veramente perché. In ogni caso, quando parlo di evento epocale non necessariamente penso alla catastrofe. Per milioni di anni gli uomini hanno vissuto come bestie, soltanto obbedendo agli impulsi più istintivi per sopravvivere. Poi è accaduto qualcosa di straordinario e di epocale: è comparsa la parola e si è sviluppata la coscienza, che ha rotto la primitiva condizione bestiale. Oggi qualcosa di altrettanto straordinario potrebbe arrivare e rompere la nostra condizione umana, come lo fu, milioni di anni fa, la comparsa della parola. Magari una nuova elevazione della consapevolezza. Una sorta di illuminazione delle coscienze, che renderà sorpassata ed ingenua ogni consolidata credenza degli uomini. Forse anche l’idea di Dio verrà giudicata un’ingenuità.

Ma la sua è una narrazione atea?

Assolutamente no. E’ un’affabulazione letteraria che necessariamente deve guardare oltre le fedi per sollecitare suggestive percezioni sul senso della vita e del creato. Se non fosse così la storia sarebbe, oltre che conformista, banale e noiosa. L’intento della narrazione non è la profanazione. E’ il desiderio di smuovere nel lettore il pensiero profondo e percettivo. Non l’evocazione, fine a se stessa, dell’angoscia, ma l’insinuazione del dubbio nelle più solide convinzioni. Sospettare che ogni certezza, altro non sia che un dubbio, che teme di guardarsi nello specchio, dovrebbe smussare i conflitti e le convivenze, perché rende evidente come nessuno possa essere proprietario di verità. Leggo dal romanzo: “Per i governanti non serviva, però, ammazzare Dio, né le umane convinzioni. Occorreva solo trasformare l’assoluto in estetica. Perché solo quando le fedi fossero diventate una questione di gusto, solo allora si sarebbe estinto ogni fondamentalismo. Le guerre di religione e quelle ideologiche sarebbero state rimpiazzate da un multiforme caleidoscopio di colori. Ognuno avrebbe scelto quello a lui più gradito, senza credere che fosse il più bello e il più vero. Allora il vivere sarebbe diventato soltanto una questione di stile.

Cosa direbbe a un potenziale lettore per invitarlo ad leggere il suo libro?

Beh, direi di mettere l’elmetto da esploratore, quello con la lampada da speleologo; rilassarsi nella lettura di “Un altro mondo è già passato”. Il romanzo è speleologia della coscienza e degli abissi più bui. Alla fine mi auguro che possa trovare sorprendenti stalattiti, di fronte alle quali si riconoscerà eterno.

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